martedì 5 ottobre 2010

Io, Europa

Io, Europa

di Daniele Gatti 



Primo capitolo:
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Il Grande Nord è terra di leggende. Chi non ha mai sentito parlare delle epiche battaglie combattute dai Vichinghi, abili navigatori e mercanti, oltre che spietate macchine da guerra? Chi non è rimasto affascinato ascoltando le storie dei mostruosi Kraken marini, mastodontici esseri capaci di sbriciolare ed affondare in un attimo qualsiasi nave con la forza dei loro devastanti tentacoli? Chi non ha visto una minacciosa profezia nel Fimbulwinter, il lunghissimo inverno che presagisce al Ragnarök, l'ultima battaglia degli Dei che porrà la parola fine al mondo terreno? Oltre il circolo polare, per alcuni mesi l’anno il sole non tramonta mai, risalendo beffardo prima di toccare l’orizzonte ed illuminando costantemente rocce che si tuffano vertiginosamente in mare, scavate dall’acqua nel corso dei millenni. Ma nei mesi più freddi il volubile astro cambia idea e decide di non mostrarsi mai, preferendo rimanere nascosto sotto l’orizzonte, inviando solo qualche flebile raggio di luce come messaggero. E chissà quante altre sorprese è pronto a riservarci il Grande Nord, ora che muniti di biglietto Interrail stiamo per intraprendere un viaggio che lo esplorerà da cima a fondo. A lungo abbiamo atteso la possibilità di vedere queste terre, ed ora che ne abbiamo la reale possibilità stentiamo a credere che un desiderio possa a volte diventare realtà così facilmente.
Fuori dalle ampie finestre possiamo scorgere le centinaia, forse migliaia d'automobili parcheggiate poco fa dai viaggiatori, i quali stanno ora trascinando i loro bagagli su pratici carrellini a rotelle, mettendoli poi ad uno ad uno su un nastro trasportatore che li inghiotte inesorabilmente dietro delle bande di plastica flessibile. Mi sento legato a loro da un invisibile ma potente filo conduttore. Insieme a loro, stiamo lasciando la sicurezza della vita ordinaria al fine di metterci in qualche modo in gioco, scegliendo ognuno la propria sfida personale da vincere. Mi diverto ad osservare le persone che mi passano davanti indaffarate come formiche, cercando di immaginarmi cosa celino in quel bagaglio così ingombrante che non passa dal check – in ordinario e deve essere incanalato nel trasporto apposito, oppure in quella borsa così piccola che sembra poter contenere al massimo i vestiti per due giorni.
Nonostante le diverse ore d'attesa che abbiamo ancora davanti, non ho voglia di mettermi a passeggiare per i saloni dell'aeroporto. Preferisco rimanere stravaccato sulla poltroncina, aspettando che il luogo mi fornisca qualche stimolo per alzarmi. Per scaramanzia, non voglio immaginarmi nulla della nostra prima destinazione. Le domande che mi frullano in testa su ciò che troverò una volta arrivato vengono temporaneamente accantonate, lasciando spazio ad una marcata ansia che mi prende ogni volta che devo salire su un mezzo volante. Una tensione generale che decido di curare da solo, basandomi unicamente sulle mie forze e senza affidarmi a pericolosi sedativi, che non si sa mai quali strani effetti possano sortire. La sensazione è altalenante: per qualche minuto credo di essermi tranquillizzato definitivamente, per poi sentire all'improvviso una lieve fitta all'epigastrio che mi ricorda inesorabilmente d'essere ancora a terra. Tuttavia, senza che abbia il tempo di accorgermene, già dopo qualche ora siamo in volo a svariati chilometri d'altitudine. La metropoli milanese si è fatta sempre più piccola fino a diventare quasi indistinguibile dal paesaggio, ed ora la visuale esterna comincia ad annebbiarsi a intermittenza mentre l’aereo attraversa numerosi banchi di minutissime goccioline sospese. Nel momento del passaggio oltre le nuvole, saettano velocissimi alcuni lampi di condensa lattiginosa, scomparendo dopo pochi centesimi di secondo, finché emergiamo dallo strato di nubi ed arriviamo nell’aria pura, dove la visuale si riapre. Ora il pavimento sottostante è costituito esclusivamente da nuvole. Ormai dubbi e pentimenti non hanno più senso, vengono inghiottiti dal veloce sfrecciare dell'aereo, che ci porta sempre più lontano da casa, alla velocità d’ottocento chilometri orari. Dopo aver sorvolato le maestose Alpi, gli innumerevoli campi coltivati francesi e lo splendido stretto della Manica, inizia la discesa verso Londra per effettuare il primo scalo.


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