- Oggi è il primo giorno di primavera. - annunciò Soledad.
Era il 21 settembre 1976. Soledad e i suoi genitori, Andrés e Matilde Bianchi, stavano facendo colazione nel salotto della loro villa, nel quartiere Palermo di Buenos Aires.
Sei mesi prima, il 24 marzo, i comandanti in capo dell’esercito, generale Jorge Rafael Videla, della marina, ammiraglio Emilio Eduardo Massera e dell’aviazione, brigadiere Orlando Ramón Agosti, con un colpo di stato avevano destituito la presidentessa Isabelita Perón instaurando una giunta militare, di cui Videla era stato designato presidente. I golpisti avevano dichiarato lo stato d’assedio, sciolto il parlamento, rimosso i membri della Corte Suprema di Giustizia, sospeso la costituzione e le attività politiche e sindacali. Il nuovo governo militare aveva ottenuto l’appoggio, in alcuni casi entusiasta, in altri rassegnato, di molte forze politiche e dei mezzi di comunicazione ed era stato riconosciuto ufficialmente dalla maggioranza dell’episcopato argentino e da quasi tutte le altre nazioni.
Dall’inizio del secolo in Argentina c’era stato un continuo alternarsi di regimi civili e dittature militari, per cui l’ultimo golpe non aveva suscitato particolari preoccupazioni tra la popolazione. Tanto più che il governo presieduto dalla vedova di Juan Perón, succeduta al marito nel 1974, era stato fortemente indebolito da una grave crisi economica e da una guerriglia interna scatenata da due gruppi armati: i Montoneros, che si ispiravano alle idee socialiste di Perón, e l’Esercito Rivoluzionario del Popolo, che rappresentava la sinistra più radicale. Un ampio settore della società, costituito soprattutto dalle classi imprenditoriali e più abbienti, riponeva molte aspettative nel Processo di Riorganizzazione Nazionale elaborato dalla giunta, i cui obiettivi principali erano debellare il terrorismo, ripristinare la sicurezza e l’ordine sociale, difendere i valori della morale cristiana e risanare l’economia.
- Posso andare a studiare a casa di Luisa dopo le lezioni? - chiese Soledad.
- Va bene ma non fare tardi. - le raccomandò suo padre.
- Prometto che rientrerò prima delle cinque.
Andrés nutriva una grande fiducia nella figlia, che si era sempre dimostrata ubbidiente e giudiziosa. Soledad frequentava il liceo classico ed era il suo orgoglio. Aveva diciotto anni, tratti delicati, la carnagione chiara, lunghi capelli castani lisci e uno sguardo dolcissimo.
Andrés e Matilde erano funzionari statali e come milioni di loro connazionali avevano origini italiane: le loro famiglie erano emigrate in Argentina dalla Lombardia negli anni ’20. I genitori di Andrés, partiti con scarse risorse da Meda, a Buenos Aires avevano aperto una piccola fabbrica di mobili, grazie alla quale avevano potuto far studiare i loro due figli fino alla laurea. Il padre di Matilde, invece, un ingegnere nato a Erba, aveva fondato una delle più rinomate imprese edili della capitale.
Soledad si alzò e diede un bacio ai genitori.
- Io scappo altrimenti perdo l’autobus. - disse correndo fuori dalla stanza.
Mentre Soledad si recava a scuola, in un appartamento di un elegante condominio del quartiere Retiro Gustavo Gutiérrez, colonnello dell’esercito, faceva colazione con la moglie Susan e il figlio David, di cinque anni.
Gutiérrez aveva quarant’anni, lineamenti marcati e occhi e capelli corvini, ereditati dai suoi antenati spagnoli. Sua moglie, di dieci anni più giovane, aveva i capelli biondi, la pelle diafana e gli occhi azzurri.
- Stasera guardiamo la televisione insieme? - chiese David al padre.
- Non è possibile. Oggi devo fare gli straordinari e tornerò a casa tardi, quando tu sarai già a letto.
- No! - esclamò David mettendo il broncio.
- Niente capricci. Non li tollero.
- La mamma dice che tu fai un lavoro importante.
- Molto importante. Do la caccia ai cattivi e li catturo, come gli sceriffi nei film di cowboys.
- Non entrare nei particolari. - intervenne Susan - Il bambino è troppo piccolo per capire e l’unico risultato che ottieni è di spaventarlo.
Sul volto dell’ufficiale apparve un’espressione di disgusto. L’uomo maledisse il giorno in cui si era innamorato di sua moglie. L’aveva conosciuta sei anni prima, in occasione di un corso di addestramento negli Stati Uniti, in Florida. Era stato un colpo di fulmine per entrambi e dopo tre mesi si erano sposati. Susan apparteneva a una facoltosa famiglia cattolica dell’alta borghesia. Di una bellezza eterea, sembrava una fatina buona e gentile. Già durante la luna di miele, però, si era tramutata in una perfida strega. Ipocrita e moralista fino a rasentare il fanatismo, faceva delle tragedie interminabili per una semplice parolaccia. Per lei le apparenze venivano prima di ogni altra cosa. Con la nascita David, nove mesi dopo le nozze, era diventata ancora più intransigente e insopportabile. Per evitare le lamentele della moglie Gutiérrez in casa doveva costantemente reprimere il suo temperamento irascibile e impetuoso. Per fortuna aveva il lavoro. In ufficio era libero di essere se stesso senza censure e poteva sfogare sui sottoposti la rabbia accumulata tra le pareti domestiche.
Il colonnello si pulì la bocca col tovagliolo.
- Io vado. - disse scagliando il tovagliolo sul tavolo.
Poi si alzò di scatto e con passi rapidi uscì di casa.
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