mercoledì 24 ottobre 2007

Impurità

Estratto dal libro: Impurità di Dario Cannizzaro

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Non aveva un granchè di lavoro. Bè, era un lavoro, senza dubbio. C’era arrivata dopo aver considerato, ad esclusione, le ipotesi: saltimbanco, mangiafuoco, giocatrice professionista di tennis, motociclista, calciatore, psichiatra, politico, portaborse, usciere di un club di ricconi, psicologo, conduttore televisivo, cantante pop.
Se quelli erano lavori, anche il suo lo era.
Faceva, ogni giorno, cinque ore di dettatura telegrammi. Sai quando alzi la cornetta, e dall’altra parte ti risponde la signorina –il più delle volte obesa e piena di pustole putrescenti in viso, ma con una voce bellissima- quant’è facile ingannare i sensi- insomma, ti risponde e tu le detti il telegramma? Ecco, quello faceva Carola. La signorina dei telegrammi. All’inizio le piaceva.
Poi, arrivò il rovescio della medaglia.
Insomma, a parte la monotonia del lavoro, c’era un aspetto dei telegrammi che Carola non aveva considerato. L’utenza maggiore, quella che probabilmente teneva su l’intera baracca dei telegrammi, era quella che lei chiamava delle condoglianze. Arrivavano decine, centinaia di telefonate di condoglianze in un turno di lavoro, tutte più o meno simili, uguali – forse che il sentimento, di fronte alla morte, diventa simile per tutti – forse che tutta la storia delle frasi fatte da parente morto o conoscente schiattato è un’invenzione umana, una sublime opera architettonica di protezione dell’anima, strumento fragile, si – sarebbe bello, sarebbe bello se tutte le convenzioni, il gioco di rituali a parole e discorsi e movimenti – tutto, sarebbe bello se tutto quanto fosse stato inventato dalla machiavellica mente umana solo a scopo protettivo.
Le convenzioni, le formalità servono a proteggersi. A proteggere il cuore dai sentimenti negativi, dev’essere così, l’uomo è creatura troppo fragile, ma furba, dannatamente furba, e ha creato un universo di gesti e posture standard dietro il quale si sente sicuro, tranquillo. Sarebbe bello, se fosse davvero così. Carola lo credeva. Dopo che per centotredici volte in sei ore senti parlare di morte, un paio di riflessioni le fai. E lei era arrivata a questa conclusione, squisitamente falsa, che innalzava perlomeno la stirpe umana ai suoi occhi. Aveva questa mania di correggere i difetti del mondo nella sua testa, una sorta di dissonanza cognitiva globale ed attiva, che la permeava completamente.
Sta di fatto, che un giorno il lavoro di Carola le cambiò la vita.
Cioè, in realtà se la cambiò da sola – come sempre, d’altronde – tendiamo a dare la colpa dei cambiamenti a qualcosa di esterno, quando li provochiamo insindacabilmente noi – ma tutto scattò con la sessantatreesima telefonata.
Carola non lo sapeva, però.

Dettatura telegrammi.
Salve... signorina, volevo mandare un telegramma....... si tratta di condoglianze.......
Dica pure.
Ecco..... in realtà non so cosa scrivere..... non sono pratica...
(Eppure a settant’anni te ne sarà morta di gente, possibile che tu non sia pratica?) Bè, che le dispiace? Che è vicino alle persone rimaste?
Bè.... immagino qualcosa di simile, si................ma più caldo, immagino tutto più caldo....... come se davvero mi dispiacesse, immagino....
(Che stronza) Certo signora, che le dispiace davvero, che è inconsolabile.... che si devono fare forza.... si possono dire tante cose, su....
Si, immagino ne sappia più di me.......... ma per me è difficile...... vede, è la prima volta....... vorrei fosse toccante, per la prima volta.....
(Come no, toccante,,,,) D’accordo signora, l’aiuto io. Va bene qualcosa del tipo “ Sentitamente colpita, mi stringo forte a voi nel dolore”?
Bè, è solo uno..... quella che riceverà il telegramma...... sa, è anziana, sola....... magari senza lo stringere, magari più specifico e meno personale......
(Contraddizione in termini, praticamente) Si signora. Facciamo “Il dolore mi acceca, sentitamente colpita”?
Non so..... vorrei piangesse, ma di gioia, perché qualcuno le è sul serio vicino, sa? E’ difficile non essere soli, alla mia età..... si è sempre soli, in realtà, ma alla mia età si sente di più....... insomma, forse non dovrei mandarlo..... non trova, ridicolo......si, magari non devo mandarlo, tanto nessuno noterebbe......
(Poverina però.....) D’accordo, signora.

Carola si mosse. Dentro di lei, intendo. Si mosse dentro. Immaginò il dolore, il dolore della perdita, il dolore amaro della solitudine, il dolore di essere assolutamente incapaci di fermare tutto questo, di assistere impotenti. Era la prima volta che lo immaginava così nitidamente.
Non l’aveva mai fatto. Si sentì sola. Sola. Sola.
Ma per la prima volta lo sentì. Quel particolare dolore.

Così, signora. “Vuoto rampicante occlude il sentire. Brucia l’animo di solitudine. Senza, nulla è più.”
..........
Le piace? Va bene?
...............................
Signora?
........scusi.
No, nulla.

La sentiva piangere, di lacrime sommesse. Ma soffocate. Un dolore sordo, come i dolori sinceri.

Signora, allora dove dovrei spedirlo? Ha il nome o mi lascia il numero di telefono?
............. 752-5425
Da parte di? Il suo nome, signora.....
Dorothy. Dorothy Ellis. In realtà, Dorothea Margareth Ellis.
Va bene, Dorothy. Fatto. Arriverà domani. In mattinata.
Grazie.
Salve.

Carola chiuse la comunicazione, poi con una scusa si assentò. Staccò la sua cuffietta, e la sua postazione si mise in stand-by, attendendo che lei tornasse, fedele. Qualcosa le ronzava in testa.

Il giorno dopo tornando al lavoro vide un manifesto funerario con la scritta

Dorothea Margareth Ellis sul muro. Le si strinse qualcosa, dentro, poi ricordò la telefonata della vecchietta. Fu un lampo. Arrivò ad una cabina, chiese il numero dell’abbonata Dorothea Ellis.
752-5425.
752-5425.
Il suo.
Il telegramma era per lei.
Se l’era spedito. Da sola.
Carola pianse.

Fumò una sigaretta, camminò due minuti. Aveva in testa un mondo scuro, cattivo e pieno di solitudine. Lei che era così ottimista. La morte è madre del pessimismo. E pensare che ce l’abbiamo dentro, dal giorno della nostra nascita. E’ il destino. Ingiusto o giusto, è così che si finisce. Ma Carola voleva salvare il mondo, le apparenze perlomeno, e decise.
Li avrebbe scritti lei, i telegrammi. Avrebbe profuso nei telegrammi tutto l’amore e la compassione del mondo, mandando a fanculo quelle frasette stupide. Sicuro. Meglio soffrire sinceramente che sorridere falsamente, pensò. Aveva ragione.

Ovviamente tutto questo durò cinque minuti, il tempo della pausa che s’era concessa.
Tornò alla sua postazione, con l’intento di cambiare il mondo.
Almeno quella parte.
Almeno dove poteva.

[...]

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