mercoledì 24 ottobre 2007

Scricchiolino

Primo capitolo del libro: Scricchiolino di Valeria Marzoli Clemente

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Un invito elettrizzante - Capitolo 1

“A casa di quella peste non ci voglio andare” protestò Andrea pestando i piedi a terra.
“Andrea! Fabiola è stata così gentile da invitarti alla sua festa di compleanno, sarebbe molto scortese non andarci” ribatté la mamma non nascondendo una certa stizza.
“A voler essere precisi, a me non ha detto proprio niente, invece, con la sua solita faccia tosta è venuta a chiederlo a te” rispose Andrea con la gola che gli era diventata secca come non mai.
“E che differenza c’è?” chiese lei aggiustandosi una ciocca di capelli che, come un vezzo, le era caduta davanti agli occhi.
“Che differenza c’è?” gridò lui diventando paonazzo dalla rabbia.
“Ho risposto io per te, e allora?”
“E non ti è mai venuto in mente che io possa pensare diversamente da te?”
“Andrea, ma che sciocchezze vai blaterando, tu sei mio figlio” rispose la mamma ed emise un profondo sospiro.
“E cosa significa?”
“Significa che io ti conosco più di te stesso” sottolineò lei, guardandolo dritto negli occhi.
Questa era l’affermazione che più di ogni altra lo innervosiva; la presunzione della mamma di conoscerlo più di se stesso la riteneva una delle forme più odiose di mancanza di rispetto.
“Ma il fatto che io non voglia andare, non ha nessuna importanza per te?” continuò a gridare il ragazzo con quanta voce aveva in gola.
“E’ una tua amica.”
“Te l’ho già detto stamattina, lei non è una mia amica” sottolineò lui con una punta di sarcasmo nella voce.
“Non è una tua amica...!!!? Ma che dici? Frequentate la stessa classe?”
“E questo per te basta per essere amici?” urlò Andrea che stava per perdere il controllo delle proprie azioni.
“Non fai altro che lamentarti perché da quando l’anno scorso, ci siamo dovuti trasferire qui a Città di Castello, non ti diverti, non hai amici...”
“Allora...?”
“Allora quale occasione migliore di una festa di compleanno per conoscere qualcuno? Senza contare che Fabiola è la figlia del sindaco...” disse la mamma con quel suo modo di parlare per sottointesi e non terminare mai le frasi.
“Cosa vuoi dire?” la incalzò il figlio.
“Potrai fare amicizia con tanta bella gente” rispose lei mentre riponeva nel guardaroba i vestiti stirati.
“Ovviamente” la prese in giro Andrea senza che lei neppure se ne rendesse conto. Ciò che lo salvava dalla furia, dall’invadenza ossessiva della mamma, era questo suo continuo modo d’ironizzare su tutto, di non prendere mai niente sul serio.
“Sì, ovviamente” rispose la mamma con l’aria di chi ha un diavolo per capello ed è sul punto di esplodere.
“Mamma, io non voglio fare amicizia con quella banda di balordi.”
“Banda di balordi? Ma se sono dei ragazzi così carini e ben educati!” esclamò stupita lei e sgranò gli occhi.
“Io, i miei amici, preferisco scegliermeli da solo, non ho mica bisogno della balia, io.”
“Già, però qui continui a stare sempre da solo e se non sbaglio anche a Benevento, era la stessa identica storia. Stavi sempre da solo” lo schernì lei pungente e sottile come una lama di coltello.
“Ti sbagli, a Benevento c’era Michele.”
“Sì, buono quello, non gli usciva una parola dalla bocca neanche se provavi a tirargliela con la pinza...”
“Non è vero. Lui mi voleva bene e anch’io gliene volevo” disse Andrea e la voce gli tremò un po’.
Sì, era proprio vero, far parlare Michele non era un’impresa delle più facili ma loro due s’intendevano lo stesso anche solo con gli sguardi. A volte, restavano per delle ore senza scambiarsi una parola eppure entrambi sapevano che sull’altro si poteva sempre contare.
“Ti prego, non fare il melodrammatico con me. Non ce n’è alcun bisogno” lo stoppò subito la mamma con un gesto fermo ed altrettanto eloquente della mano.
“Mamma...”
“Piuttosto ritorniamo alla nostra discussione. Perché continui a stare sempre da solo e non esci mai con i tuoi amici di scuola?”
Andrea in un lampo si ricordò della spiacevole esperienza dello scorso mese e rabbrividì:
“Vuoi venire al Luna Park insieme a noi?” aveva chiesto Paola, la porca più porca di tutte, con un’espressione sincera dipinta sul viso.
“Su, non farti pregare” aveva incalzato Fabiola sfoderando uno dei suoi sorrisi.
“All’autoscontro e...” aveva aggiunto laconico come il suo solito Francesco.
“Dai, vieni, vedrai che bel divertimento” lo aveva interrotto spavaldamente Giampiero.
“Ci divertiremo moltissimo” aveva ridacchiato Simone.
“Sì, proprio moltissimo” gli aveva fatto eco Marco l’altro gemello.
“Da morire...” aveva ribadito Francesco con un filo di voce, ma con uno strano ghigno, che non lasciava presagire niente di buono.
“Esatto, proprio da morire...”
“E chiuso con il passato...” era intervenuta Marcella vedendolo ancora leggermente titubante.
“Promesso.”
“Promesso.”
“Promesso.”
“Sì, promesso” aveva confermato quella vezzosa di Titti infervorandosi come non mai e mettendo in mostra lo splendore dei suoi denti.
“Già, chiuso con il passato” avevano ripetuto in coro tutti quei ragazzi, alzando la mano destra all’altezza della spalla e ponendo la sinistra sul cuore, per meglio sigillare il loro giuramento.
Andrea avrebbe voluto rifiutare quell’invito che non lo convinceva del tutto, ma per non sembrare riluttante a qualsiasi, se pur minimo, tentativo di riappacificazione, alla fine, si era arreso e sebbene di malavoglia accettò.
Per un bel pezzo, lui non aveva abbassato la guardia perché aveva deciso che sarebbe stato meglio stare sulle sue e tentare di capire le reali intenzioni del gruppo. Era teso come una corda di violino e non riusciva a divertirsi neanche un po’.
“Scri... anzi, scusami... Andrea vuoi delle patatine?” gli aveva domandato con un sorriso chilometrico Paola quando finalmente erano arrivati al Luna Park.
“No, grazie.”
“Guarda che mi offendo.”
“Ma... solo una.”
“Una non si può, due sono poche e tre è il numero perfetto. Allora devi prendere tre patatine” aveva scherzato Paola con tono amabile e nello stesso tempo sicuro di sé.
“Ehi, ma che patatine e patatine..., a me è venuta una fame pazzesca. Andiamo tutti a prenderci una pizzetta e per festeggiare questa nuova amicizia, offrirà Andrea” aveva sentenziato Giampiero dandogli una vigorosa pacca sulla spalla.
Ovviamente Andrea non aveva obiettato nulla ed, in fondo, era anche felice di essere stato accettato dagli altri.
“Sì, sì, offro io” lui si era precipitato a precisare ma non c’era alcun bisogno di quella conferma perché il capo aveva già deciso così e nessuno, neanche lontanamente, poteva disobbedire ai suoi ordini; quindi tutti si diressero verso il bar del Luna Park.
“Pizzette per tutti” aveva detto Giampiero che si era avviato per prima.
“Sì..., sì..., buona idea. Una bella pizzetta calda per tutti” aveva ribadito Fabiola con un sorriso caramelloso.
“Anche a me...”
“Anche a me...”
“Ehi... Andrea, vedi di non dimenticarti di me” aveva precisato Mario leccandosi le labbra.
“Uhmm... ci voleva proprio questa pizzetta. Mi ha rimesso in sesto” aveva detto Francesco passandosi una mano sulla pancia.
“Veramente buona.”
“Al Luna Park fanno le pizzette più saporite del mondo. Sono uno schianto” aveva rincarato la dose Marcella.
“Non so voi ma io con una pizzetta non ho fatto proprio niente. Andrea, sai che ti dico? Io ne prendo un’altra” aveva detto Giampiero con aria decisa perché lui non doveva dar conto a nessuno delle sue azioni anche se erano gli altri a dover pagare. I capi si distinguono anche per questo.
“Fai pure, non preoccuparti, ci penso io. E anche voi se volete un’altra pizzetta, prendetela, siamo degli amici e i veri amici si comportano così” aveva subito precisato Andrea felice fino alle stelle di essere considerato uno del gruppo.
“Beh, se proprio insisti.”
“Sì, sì, non c’è nessun problema.”
“Sicuro...?” aveva ridacchiato Marco.
“Sì, sicuro, sicuro.”
“Allora, sai cosa c’è di nuovo? Se non c’è nessun problema, anch’io prendo un’altra pizzetta” aveva sorriso Fabiola.
“Ehi, ci sono anch’io.”
“Io, invece prendo qualcosa da bere.”
“Già, una bella birra, ci vuole proprio” aveva confermato Simone.
“Una birra anche per me” era intervenuta prontamente Titti.
Insomma, quella banda di balordi ad Andrea non sembrava più così balorda. Anzi quei ragazzi erano tutti dei gran veri amici che lo stavano trattando come uno di loro.
Dopo essersi rifocillati ben bene, poi erano andati all’autoscontro. Sulla pista era stato un susseguirsi di grida e di risate a squarciagola.
Crash!
“Aaah...”
Crash!
“Aaah...”
Crash!
“Aaah...”
“Che bello” aveva detto divertita Fabiola tamponando Francesco.
Poi Marcella aveva girato il volante e si era diretta verso la macchinina di Andrea.
“Che fai lì fermo vicino alla pedana?” gli aveva gridato Marcella con un sorriso sincero e largo come uno schermo cinematografico.
“Sembri proprio un baccalà” aveva scherzato Titti che non si faceva sfuggire la benché minima occasione per essere, molto “gentile” nei confronti di Andrea.
Ma lui non le aveva badato oppure sarebbe meglio dire che non aveva voluto badarle.
“Aaah...”
“Il bello è tamponare gli altri” aveva strillato Mario dal centro della pista.
“Guarda me” aveva sottolineato Fabiola che sta-va scorazzando felice e contenta per tutta la pista, tamponando chiunque le capitasse a tiro.
“Dai, vieni!”
“Svegliatiii...”
“Vieniiiii.”
“Aaah.”
Allora Andrea si era fatto coraggio ed aveva urtato il veicolo di Marcella ma senza spingere molto forte sul pedale.
“Nooo...”
“Non è così che si gioca.”
“Aaah...”
Andrea si era rilassato ed aveva cominciato a sorridere. Adesso sì che era tra veri amici!
Quindi, aveva pigiato il piede con molta più decisione sul pedale, tamponando la macchinina di Giampiero il quale, colto di sorpresa, battè con una certa violenza il mento sul volante.
Entrambi erano divenuti lividi: uno per la paura, l’altro per l’affronto subito.
“E bravo” aveva detto a denti stretti e con aria minacciosa Giampiero, asciugandosi con il palmo della mano una piccola goccia di sangue.
“Proprio bravo il bambinello.”
“Eh sì.”
Andrea subito aveva capito che la tregua stava per concludersi ed anche in malo modo e questo valeva soprattutto per lui.
“Facciamogli vedere chi siamo.”
“Già...”
“Chi è che comanda qui...”
“Diamogli una lezione” aveva biascicato Giampiero.
“Sì, una bella lezione.”
“Una lezione che non si dimentica facilmente” aveva ribadito Simone.
“Una lezione da brivido” aveva sentenziato ancora Giampiero.
Andrea, in un lampo, era stato accerchiato dalle macchinine della banda ed un sudore freddo, che gli impediva perfino di urlare, gli scese per la schiena.
Poi aveva chiuso gli occhi, messo le mani sul viso ed atteso l’inevitabile urto.
“Viaaa!” Giampiero aveva gridato con quanto fiato aveva in gola l’ordine di attacco.
E così, quei gradassi avevano schiacciato l’acceleratore delle proprie macchinine e si erano scaraventati a tutta velocità, sul veicolo di Scricchilino. Quello che ne era seguito, è facile immaginarlo. Andrea sanguinolento e piangente era fuggito via. Aveva iniziato a correre all’impazzata per non permettere al dolore, per non permettere a quella ingombrante sensazione d’impotenza, d’impossessarsi del suo corpo facendogli un male da morire.
Soltanto quando si era sentito totalmente esausto, si fermò. Il respiro, per un attimo, gli mancò e dovette appoggiarsi a un vecchio platano sulla collina, ansimante come non mai. Le tempie iniziarono a sbattergli senza tregua ed il cuore avrebbe voluto schizzare via dal suo petto. Era completamente sfinito e senza più neppure un briciolo di forza per continuare.
“Noooooo...”
Un urlo disperato gli era salito da dentro l’anima e gli esplose nella bocca. Pallido e tremante, si lasciò cadere a terra e pianse tutte le lacrime del mondo intero.
Ancora oggi, il ricordo di quella scena lo faceva tremare di paura, di rabbia e di dolore.
“Mamma, mi prendono in giro tutto il giorno. A scuola, per me, è un inferno. Io a quella festa non ci voglio andare” la supplicò Andrea, che si era riavuto da quel brutto ricordo.
“Non so più come fare con te...”
“In che senso?” chiese stupito Andrea.
“Ti sarai immaginato tutto. D’altronde, con la fantasia che ti ritrovi... non sarebbe la prima volta. Tutta la giornata, non fai altro che sognare, sognare e ancora sognare.”
“No, mamma. Ti dico.. che è... vero. Tu non sai... cosa debbo... sopportare” balbettò Andrea vincendo quell’innato pudore che aveva quando doveva, realmente, parlare di se stesso.
Qualsiasi mamma di fronte a queste parole del figlio, si sarebbe seduta ed avrebbe detto “Amore mio, cosa c’è che non va?”
Qualsiasi mamma.
Non la mamma di Andrea.
“Forse ho sbagliato, forse ti ho troppo viziato” invece furono quelle le parole che lei pronunciò.
“Oh, mamma...” frignò il ragazzo nel vano quanto inutile tentativo di commuoverla.
“Smettila” ribatté lei per tutta risposta incrociando stizzita le braccia.
“Mamma, io a quella festa non ci voglio andare.”
“Vedrai, ti divertirai un mondo.”
“Certo. Sarò lo zimbello della serata.”
“Come sei petulante” lo liquidò lei con poca grazia e continuò a riporre i vestiti nell’armadio.
“Perché non capisci?” chiese esasperato Andrea che aveva le orecchie tutte rosse. Gli capitava sempre quando non riusciva a controllare le proprie emozioni. Allora, le orecchie gli diventavano rosse rosse come due carboni ardenti. Si odiava per questo e per molte altre cose ancora. Ma questa era la cosa che più non riusciva a sopportare di se stesso.
“Perché arrossisci? Non hai il coraggio di ammettere che ho ragione?”
“Io non ci andrò.”
“Oh sì che ci andrai; ho dato la mia parola” puntualizzò lei con aria di sfida.
“La tua, ma non la mia” piagnucolò Andrea che si sentiva esausto e privo di forze come dopo una lunga battaglia inevitabilmente già persa ancora prima di cominciare.
“Io ti dico che ci andrai e adesso non voglio sentire più storie” concluse lei con voce dura.
Discutere con la mamma era perfettamente inutile, tanto si finiva sempre con il dover fare quello che lei voleva.
“Quella dannata gallina la spunta sempre. Lo giuro, prima o poi la spennerò” bisbigliò Andrea senza neppure accorgersi che la mamma lo stava guardando.
“Andrea, quante volte ti debbo dire che queste parole non le voglio sentire?” strillò lei tutta spazientita.
“Era così, tanto per dire.”
“Non mi piace che queste parole escano dalla tua bocca.”
“Sì, hai ragione.”
- Posso anche non dirle, ma non puoi di certo impedirmi di pensarle. E posso fare anche di peggio - disse fra sé Andrea, mentre sentiva la rabbia crescergli den-tro ed impossessarsi di lui, dalla cima dei capelli fino alla punta dei piedi.
“Così va meglio.”
“Già...”
“Ah, non appena avrai un po’ di tempo, ricordati di travasare le piantine di primule nel vaso grande di terracotta.”
“E se non ne avessi voglia?” chiese lui con voce impertinente.
“Beh, non fa niente. Vorrà dire che se sfioriranno tutte, le getterò” fece lei, sapendo bene di pungerlo sul vivo perché Andrea aveva una vera e propria passione per le piante ed, in generale, per la natura.
“Domani le travaserò.”
“Lo sapevo” sorrise la mamma per la vittoria riportata.
Una sensazione di stanchezza senza fine s’impadronì del corpo del ragazzo che si lasciò cadere sfinito sul letto.
“Che fai?” urlò stizzita lei.
“Nie...niente...”
“Niente eh!? Fai la persona seria e smettila di fare il cascamorto. Piuttosto pensa a essere più ordinato. Oggi ho controllato il tuo zaino. Un vero disastro!”
“Mamma...”
“Hai tutti i libri e i quaderni scarabocchiati. Vergognati! Invece di stare attento alle lezioni, che cosa fai? Rovini tutti i quaderni e i libri nuovi. Ma che figura mi fai fare con i professori!!! Debbono pensare che io sono una sciattona se ti permetto di sciupare tutto senza dirti niente. Ma da oggi in poi si cambia musica, ho sopportato abbastanza. Da domani controllerò ogni giorno lo zaino e se troverò ancora un altro scarabocchio, ti toglierò il lettore CD. Ancora vergogna!” disse acida la mamma e nelle sue parole non si capiva se ci fosse più rabbia o più disprezzo o se tali sentimenti fossero equamente divisi.
“Non sono stato io. Tu mi conosci” provò a protestare Andrea e saltò in piedi con un’espressione di frustrazione dipinta sul viso.
“Appunto” commentò lapidaria lei.
“Mamma, credimi almeno una volta.”
“Ah sììì..., allora chi è stato, il fatino turchino?”
“Ma non lo capisci? Sono stati loro, ma tanto già lo so che tu non mi credi. Come sempre.”
“Chi “loro”?”
“Loro, i miei compagni di scuola. Sono un branco di maiali” protestò Andrea e la voce gli divenne sottile come quella di un bimbetto.
“Prima di tutto, lo sai bene che non mi piacciono queste parolacce e poi perché non ti decidi a crescere e a assumerti le tue responsabilità?
Un lungo silenzio avvolse la stanza ed il tempo parve fermarsi per dei lunghi minuti.
“Se non ti dispiace, ora voglio dormire” sbottò alla fine Andrea che aveva voglia di restarsene da solo fino alla fine dei suoi giorni.
“Ehi, ragazzino, non usare questo tono con me” prontamente precisò lei lanciandogli uno sguardo gelido.
“Ma quale tono!!!?”
“Lasciamo perdere che è meglio.”
“Già..., lasciamo perdere...”
“Ah, stavo quasi dimenticando di darti il bacio della buonanotte” disse lei alzando le sopracciglia.
“Mamma, sono grande e tutte queste smancerie non le sopporto più” sbottò il ragazzo nel fievole tentativo di sfuggire all’ossessiva cappa materna.
“Sei grande?” ripeté lei che era rimasta senza più parole.
“Sì, sono grande.”
“Lo deciderò io quando sarai grande” replicò con fermezza la mamma schioccandogli l’inesorabile bacio della buonanotte.

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