mercoledì 31 ottobre 2007

"Cronache di Roscoff" estratto dal capitolo .6



.6

Erano più o meno le sei e mezzo di sera, quando Langlois intravide all’orizzonte di quella nebbiosa giornata invernale, una carrozza avvicinarsi a passo lento dalla polverosa statale che porta da Roscoff a Rennes. Lasciò i suoi attendimenti, aggrottò le ciglia e studiò attentamente quell’improbabile veliero nel denso grigio che a passo felpato si avvicinava. Riconobbe, con i suoi intensi e castani occhi da campagnolo, il colore marrone, il cavallo nero e, mano a mano che si avvicinava, un uomo di bassa statura, coi baffi, perso dentro al suo cilindro e alla parvenza elegante, nel vestire.

Era senza alcuna ombra di dubbio Leo Samuele Levy, commerciante ebreo di Rennes, commerciante di specchi e cianfrusaglie, per la precisione, uomo di poche parole che di tanto in tanto si affacciava nei paesi vicini per sbrigare alcune commissioni o darsi arie di primo cittadino raccontando, magari alla villica Roscoff, cosa mai succedesse in città.

Langlois cominciò, come ridestatosi dal suo incerto torpore, in cui sprofondava quando osservava (si sarebbe detto che cadeva nel letargo proprio dei gatti che fanno solo finta di provare una particolare, indifferente concentrazione), a gridare ai quattro venti il nome Levy, Levy, Levy, con le mani a mo’ di megafono, come una sentinella al suo posto di guardia, tanto che lo poterono udire anche dal faro e, molto probabilmente, anche dalle imbarcazioni vicine. Quando arrivava Levy, la gente del paese andava in letterale subbuglio, entrava per un giorno in fibrillazione, scoprendo una ingenua e provinciale curiosità per ciò che succedeva all’esterno del proprio guscio.

Non era per loro un pensiero ricorrente, la città, si può dire che la scoprissero solamente quando questa, per un qualsivoglia caso fortuito, si degnava di avvicinarsi a loro, seppur dimostrando abiti di superbia lontananza e distaccata superiorità.

Rennes e Roscoff non sono poi così lontane perché un uomo o un cavallo si possano dichiarare stanchi per il viaggio, ma Levy si sentiva spossato da tutti quei campi, da tutto quel sole, da quella totale, spaventosa, assenza di frastuono urbano. Per cui, per quanto non fosse tardi, si precipitò immediatamente a la “Sarazine” per ottenere una camera e una sbrigativa boulè di sidro della buonanotte.

Entrò schivando gli sguardi, con le movenze di un esperto ballerino, strisciando verso il bancone come un’anguilla, tanto che nessuno si accorse della sua presenza. Al bancone chiese una camera e una boulè di sidro senza nemmeno salutare, col fare scontroso di chi può pretendere. Soddisfatte le sue esigenze si mise compostamente a sedere, mostrando le spalle a tutti i presenti, non curante delle chiacchiere (sanno forse parlare di qualcosa che non sia il raccolto questi villici?), sorseggiando il suo nettare (bisogna però ammettere che qua il sidro è migliore che in città) con lenti movimenti. Stava per posare il bicchiere, fare un cenno di saluto, dirigersi verso il letto, quando…

“Benvenuto a Roscoff Monseieur Levy. Cosa la porta, di grazia, in questa landa desolata?”

“Che Dio…Laforgue! Vecchio marinaio, ancora in divisa…fatti vedere… stessa pancia in fuori, stesso sguardo vivo, stessa vanità dei gradi e del non far niente alle sei e mezzo appena!”

“Attento a come ti rivolgi, recluta…”

“Signorsìsignore!”

“Certo che ne è passato di tempo dall’ultima volta, dal tuo congedo…va a cercare fortuna, dicevano, si leva dalle palle un po’ di uomini stupidi con la divisa, dicevo io…e dai leva quella mano da saluto, ormai non sono capitano nemmeno di una zattera…”

“…riposo, allora…”

“I tempi cambiano, Levy, e Roscoff rimane uguale, ed io con lei. Ma tu, che ti sei adeguato, che sei riuscito a scendere dal pontile… beh, che novità ci porti dal mondo civile?”

“C’è un clima strano, capitano, la gente dopo la guerra ha voglia di divertirsi, si rialza in piedi e vuole ridere. E gli americani sovvenzionano abbondantemente questa nuova cultura…”

“E cosa ci fai qui? Venuto a vendere cianfrusaglie al popoletto?…”

“Ho smesso con le cose inutili, vendo specchi adesso…”

“Specchi?”

“Specchi… di tutti i tipi. Ne vuoi uno ondulato? Ce l’ho. Ne vuoi uno satinato ai bordi ? Ho anche quello. Ne vuoi uno piccolo da portare dietro con te? Nessun problema…non sai quanti ne vendo di quelli, curioso quanto la gente abbia paura della sua presentabilità…almeno quanto tiene alla sua vanità…”

“Così tu vuoi vendere specchi ai contadini e ai marinai…e cosa ci dovrebbero fare, dico io, puntarli contro il sole e parlarsi da colle a colle con dei segnali? …questa gente è affascinata dal superfluo, ma ne può fare a meno senza alcun problema…”

Levy stette in silenzio per qualche secondo, il tempo di accendere una sigaretta, inspirare a pieni polmoni, fare una faccia compiaciuta e assumere l’aria di un politico a una conferenza. Un politico entusiasta, però. Un sindaco di cinque anni a scartare i regali sotto l’albero di natale. Ma pur sempre un sindaco. Entusiasta.

“Niente di tutto ciò. Niente di tutto ciò. Questa è la mia grande occasione, di iniziare a fare soldi, veramente. A palate, spero. Credimi. Tutti nella regione sanno dei vostri fuochi di artificio, in molti ne parlano, e molti vorrebbero vederli…e se ti chiedi cosa abbia a che fare questo con gli specchi…aspetta domani e vedrai, è una sorpresa.”

“Mmm…Va bene, aspetterò…”

“Adesso devo andare…”

“Solo una cosa Levy”

“Sì?”

“Me lo daresti uno di quegli specchi, non importa se satinato o cosa, devo fare un regalo, l’importante è che sia grande almeno così” e fece il gesto dell’ampiezza con le braccia

“Benissimo, nessun problema. Ne porto sempre qualcuno con me, come campionario”

“Solo che io, in quanto a soldi…”

“Non importa, capitano, non importa. Commerciante, ebreo, certo, ma non fino a questo punto. Uno specchio a un superiore non si rifiuta di certo”

“beh…grazie Levy”

“Buonanotte capitano”

“Buonanotte recluta…buonanotte…”

rompete le righe…fu l’ultima parola sbiascicata che Levy sentì pronunciare alle sue spalle, con venatura ironica…

Quella notte Levy andò a letto a dir poco eccitato dal frastuono dei pensieri, dalle mille immagini di successo che gli scorrevano leggere in testa. Si sfilò la giacca nera, e la appoggiò piegandola malamente sulla sedia della camera, si tolse la camicia e rimase a guardarsi allo specchio con aria soddisfatta per alcuni minuti. Immobile, con indosso solamente i pantaloni neri e una canottiera bianca. Il piccolo e tenue bagliore del lume proveniente dal comodino indugiava sulla pancia grassa mostrando tutti gli aloni di sudore che una giornata di viaggio può portare ad un uomo sedentario, arrivando ad inquadrare i neri baffi arricciati da presentatore di circo e la testa canuta. Un neo appena sotto l’occhio destro rendeva il suo sguardo ora più convincente, ora più meschino, a seconda delle espressioni che il commerciante presentava allo specchio, a loro volta dipendenti dai pensieri che i meandri della sua mente richiamavano. Si vedeva in panciotto o in frac brindare a un finalmente lusinghiero successo, magari accompagnato in un salone teatrale da una o più dame dalle più delicate fattezze e tenere espressioni; si vedeva in un circolo di snob aristocratici a brindare con coppe di champagne, magari fumando un pregiato sigaro, discorrendo dell’economia e dei provvedimenti governativi, con teatralità e apparente convinzione, ma con la distrazione propria di chi problemi economici non ne ha e non ne avrà.

Fu così, che le mani che slacciavano la cintura per riporre i pantaloni lo presero quasi alle spalle, come se non fosse stata veramente una sua azione, come se un ingranaggio avesse deciso improvvisamente di funzionare senza il consenso del pensiero, e fu così che distolse la mente dai sogni per dedicarsi a una breve toeletta prima di concedersi il riposo. Si buttò un po’ d’acqua fresca in viso, si tocchicciò i baffi per verificarne l’esatta e composta arricciatura, si asciugò le poche gocce che correvano sulle guance ispide e si incamminò verso il letto. Si sentiva come un piccolo semidio. Nessuno, tranne lui, sapeva cosa stava per succedere a Roscoff, e questo lo faceva sentire importante, come se avesse potuto decidere le sorti di quel paese e di quelle persone. Con un ultimo sorriso, ubriaco di pensieri gloriosi, soffiò sul lume e si coricò in una goffa posizione fetale.

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