venerdì 30 novembre 2007

Il Condottiero

Estratto dall'opera Il Condottiero di Monica Valentini

Barberino del Mugello, maggio 1501
Passeggiò nervosamente avanti e indietro nella tenda da campo, sotto l’occhio sempre vigile di Michelotto, ben consapevole che contro Luigi XII e contro i Brevi papali non poteva niente: Firenze gli era interdetta. Ma sapeva pure che la Toscana era pronta a cadergli tra le braccia, dilaniata da guerre intestine troppo a lungo protratte e che gli era sufficiente bluffare per farla capitolare.
Che fare?
-Gli Orsini e Vitellozzo vogliono marciare contro Firenze, incuranti del veto.- commentò girandosi verso Michelotto.
-Lo vedo. I loro rancori personali non devono toccarti.-
-Non mi toccano, difatti. Però mi sono necessari.- aggiunse portando la fialetta di profumo alle narici.
Michelotto lo osservò in silenzio, mentre le candele inondavano la tenda di odore di cera e giocavano con le ombre sulle pareti smosse da un lieve vento primaverile.
-Piombino… Se solo riuscissi a piegare la Signoria ai miei voleri, potrei marciare tranquillamente verso la mia vera meta.-
-Gli Appiano non sospettano nulla?-
Cesare piegò le labbra in un sorriso e socchiuse gli occhi splendidi, puntandoli sul suo capitano.
-Nulla.-
Si fermò all'improvviso, udendo rumori fuori della tenda ed un attimo dopo Vitellozzo si precipitò all'interno, stravolto e con gli occhi sgranati.
-Monsignore...-
Cesare si indispettì per un simile comportamento e lo guardò con distacco, disapprovando la sua tenuta sporca e disordinata.
-Ebbene?- domandò con tono secco.
-Eccellenza, ho saputo che Sua Santità il papa ha posto un veto su Firenze: è così? Questo significa che non marceremo contro la Signoria?-
-Talmente ansioso?-
Vitellozzo, uomo rozzo, corpulento, sifilitico e capace di una crudeltà inaudita, accentuata dalla malattia venerea, si buttò in ginocchio pesantemente ed iniziò a piangere come un bambino, provocando disprezzo nell'interlocutore ed allarmando Michelotto, che portò immediatamente la mano all’elsa del pugnale legato in vita.
-Monsignore, ve ne supplico! Sapete bene quale odio io nutra nei confronti di quella città, che mi ha ucciso un amato fratello e capite bene il mio senso di giustizia. Non fermatevi, eccellenza! Firenze è vicina ed ha paura: cadrebbe subito!-
-Non posso.-
-Lasciate che prenda i miei uomini e faccia tutto da solo!-
-Non ancora.-
-Chiedo vendetta!-
-Devi imparare ad avere pazienza se vuoi sopravvivere; ora va', gli eventi matureranno.-
Vitellozzo si asciugò le lacrime e si alzò lentamente, fissando Cesare negli occhi.
-Concedetemi questo favore e sarò disposto anche a morire per voi.-
-Non dipende da me. Staremo a vedere: qualcosa accadrà.-
-Io...-
Esitò un attimo, incrociando lo sguardo periglioso di Michelotto, quindi s'inchinò con deferenza ed infossando la testa canuta nelle spalle se ne andò, lasciando il Valentino disgustato ed irritato.

~

Osservò i tre ambasciatori che gli portavano la risposta di Firenze e si accorse subito che quegli uomini lo stavano studiando per carpire i suoi pensieri più reconditi. Sorrise tra sé e sé e giocherellò con la fialetta di profumo.
-Benvenuti al nostro modesto campo. Mettetevi pure comodi, monsignori e passiamo senza indugio agli affari: non amiamo le perdite di tempo.-
I tre uomini presero posto sulle sedie e Pier Soderini porse una pergamena iniziando a dire:
-La Signoria vi permette di passare sulle sue terre, come avete chiesto, a patto che non entriate in città fortificate, che procediate a reparti isolati e battiate strade diverse.-
Cesare lo fissò negli occhi ed abbozzò un sorriso, quindi lesse le condizioni.
-Continuate, ve ne preghiamo.- invitò con voce dolce, senza alzare lo sguardo dal foglio.
-La Signoria vi vieta di condurre gli Orsini e Vitellozzo Vitelli. Questa condizione è inoppugnabile.-
-Comprendiamo benissimo.- commentò lasciando la pergamena ed appoggiandosi blandamente contro lo schienale della sedia.
Era notte ormai, eppure il Valentino era fresco come una rosa, pronto a balzare in sella e fare miglia e miglia senza accusare la minima stanchezza. Tutto il suo corpo rivestito di damasco nero a liste dorate emanava una vitalità a stento trattenuta, che sfogava facendo rigirare tra le dita la fialetta di profumo. La luce delle candele giocava sul suo volto mezzo nascosto dalla maschera, facendolo apparire più pallido ed incavato e donando ai suoi occhi di ghiaccio un barlume di umanità. Non portava gioielli, a parte l'anello sul quale era inciso uno dei suoi motti ed unica nota di colore era la piuma bianca sul berretto nero, che gli conferiva signorilità e raffinatezza. Per l'occasione aveva deposto l'armatura, apparendo così in tutta la sua splendida giovinezza.
Ma se tutto il suo essere emanava una fredda arroganza, la sua mente era in continua elaborazione: Firenze lo temeva, questo era certo; ciò nondimeno non poteva toccarla.
-Siamo d'accordo.- proruppe dopo un lungo silenzio, con tono fermo e sprezzante. -Riferite pure alla Signoria che accettiamo, ma a queste condizioni: Firenze deve nominarci suo condottiero; non deve assolutamente concedere aiuti a Piombino; deve mettere nelle mani di Vitellozzo gli ostaggi che egli riterrà opportuni; deve acconsentire al ritorno dei Medici oppure formare un governo di cui noi possiamo fidarci. Potete andare.- terminò alzandosi e mettendo fine all'incontro.
I tre ambasciatori si fissarono sbigottiti e dopo aver mormorato saluti circostanziali se ne tornarono a Firenze con aria preoccupata ed incredula.
Rimasto solo, Cesare si sedette e chinò la testa, meditabondo.
Il giorno dopo levò il campo, continuando imperterrito la sua avanzata sul territorio toscano. Voleva dare l'impressione di marciare contro Firenze, per spremere la Signoria, e poi proseguire per Piombino, sperando che nessuno si accorgesse del bluff. Cercava di riproporre lo stesso gioco fatto con i Bentivoglio, sicuro che anche stavolta avrebbe vinto.
Un nuovo Breve papale gli giunse, intimandogli di tornare indietro, ma l'ignorò, non riuscendo a staccare gli occhi dalla città che aveva davanti. Gli sarebbe bastato allungare la mano e Firenze sarebbe caduta come un frutto maturo, senza sprecare un solo uomo. Ma non poteva: era pura follia sfidare Francia e Roma contemporaneamente.
Per la prima ed ultima volta in vita sua chinò mestamente la testa, astenendosi dal prendere Firenze, sperando almeno di piegare la Signoria con le condizioni poste in atto.

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