mercoledì 31 ottobre 2007

"Cronache di Roscoff" estratto dal capitolo .6



.6

Erano più o meno le sei e mezzo di sera, quando Langlois intravide all’orizzonte di quella nebbiosa giornata invernale, una carrozza avvicinarsi a passo lento dalla polverosa statale che porta da Roscoff a Rennes. Lasciò i suoi attendimenti, aggrottò le ciglia e studiò attentamente quell’improbabile veliero nel denso grigio che a passo felpato si avvicinava. Riconobbe, con i suoi intensi e castani occhi da campagnolo, il colore marrone, il cavallo nero e, mano a mano che si avvicinava, un uomo di bassa statura, coi baffi, perso dentro al suo cilindro e alla parvenza elegante, nel vestire.

Era senza alcuna ombra di dubbio Leo Samuele Levy, commerciante ebreo di Rennes, commerciante di specchi e cianfrusaglie, per la precisione, uomo di poche parole che di tanto in tanto si affacciava nei paesi vicini per sbrigare alcune commissioni o darsi arie di primo cittadino raccontando, magari alla villica Roscoff, cosa mai succedesse in città.

Langlois cominciò, come ridestatosi dal suo incerto torpore, in cui sprofondava quando osservava (si sarebbe detto che cadeva nel letargo proprio dei gatti che fanno solo finta di provare una particolare, indifferente concentrazione), a gridare ai quattro venti il nome Levy, Levy, Levy, con le mani a mo’ di megafono, come una sentinella al suo posto di guardia, tanto che lo poterono udire anche dal faro e, molto probabilmente, anche dalle imbarcazioni vicine. Quando arrivava Levy, la gente del paese andava in letterale subbuglio, entrava per un giorno in fibrillazione, scoprendo una ingenua e provinciale curiosità per ciò che succedeva all’esterno del proprio guscio.

Non era per loro un pensiero ricorrente, la città, si può dire che la scoprissero solamente quando questa, per un qualsivoglia caso fortuito, si degnava di avvicinarsi a loro, seppur dimostrando abiti di superbia lontananza e distaccata superiorità.

Rennes e Roscoff non sono poi così lontane perché un uomo o un cavallo si possano dichiarare stanchi per il viaggio, ma Levy si sentiva spossato da tutti quei campi, da tutto quel sole, da quella totale, spaventosa, assenza di frastuono urbano. Per cui, per quanto non fosse tardi, si precipitò immediatamente a la “Sarazine” per ottenere una camera e una sbrigativa boulè di sidro della buonanotte.

Entrò schivando gli sguardi, con le movenze di un esperto ballerino, strisciando verso il bancone come un’anguilla, tanto che nessuno si accorse della sua presenza. Al bancone chiese una camera e una boulè di sidro senza nemmeno salutare, col fare scontroso di chi può pretendere. Soddisfatte le sue esigenze si mise compostamente a sedere, mostrando le spalle a tutti i presenti, non curante delle chiacchiere (sanno forse parlare di qualcosa che non sia il raccolto questi villici?), sorseggiando il suo nettare (bisogna però ammettere che qua il sidro è migliore che in città) con lenti movimenti. Stava per posare il bicchiere, fare un cenno di saluto, dirigersi verso il letto, quando…

“Benvenuto a Roscoff Monseieur Levy. Cosa la porta, di grazia, in questa landa desolata?”

“Che Dio…Laforgue! Vecchio marinaio, ancora in divisa…fatti vedere… stessa pancia in fuori, stesso sguardo vivo, stessa vanità dei gradi e del non far niente alle sei e mezzo appena!”

“Attento a come ti rivolgi, recluta…”

“Signorsìsignore!”

“Certo che ne è passato di tempo dall’ultima volta, dal tuo congedo…va a cercare fortuna, dicevano, si leva dalle palle un po’ di uomini stupidi con la divisa, dicevo io…e dai leva quella mano da saluto, ormai non sono capitano nemmeno di una zattera…”

“…riposo, allora…”

“I tempi cambiano, Levy, e Roscoff rimane uguale, ed io con lei. Ma tu, che ti sei adeguato, che sei riuscito a scendere dal pontile… beh, che novità ci porti dal mondo civile?”

“C’è un clima strano, capitano, la gente dopo la guerra ha voglia di divertirsi, si rialza in piedi e vuole ridere. E gli americani sovvenzionano abbondantemente questa nuova cultura…”

“E cosa ci fai qui? Venuto a vendere cianfrusaglie al popoletto?…”

“Ho smesso con le cose inutili, vendo specchi adesso…”

“Specchi?”

“Specchi… di tutti i tipi. Ne vuoi uno ondulato? Ce l’ho. Ne vuoi uno satinato ai bordi ? Ho anche quello. Ne vuoi uno piccolo da portare dietro con te? Nessun problema…non sai quanti ne vendo di quelli, curioso quanto la gente abbia paura della sua presentabilità…almeno quanto tiene alla sua vanità…”

“Così tu vuoi vendere specchi ai contadini e ai marinai…e cosa ci dovrebbero fare, dico io, puntarli contro il sole e parlarsi da colle a colle con dei segnali? …questa gente è affascinata dal superfluo, ma ne può fare a meno senza alcun problema…”

Levy stette in silenzio per qualche secondo, il tempo di accendere una sigaretta, inspirare a pieni polmoni, fare una faccia compiaciuta e assumere l’aria di un politico a una conferenza. Un politico entusiasta, però. Un sindaco di cinque anni a scartare i regali sotto l’albero di natale. Ma pur sempre un sindaco. Entusiasta.

“Niente di tutto ciò. Niente di tutto ciò. Questa è la mia grande occasione, di iniziare a fare soldi, veramente. A palate, spero. Credimi. Tutti nella regione sanno dei vostri fuochi di artificio, in molti ne parlano, e molti vorrebbero vederli…e se ti chiedi cosa abbia a che fare questo con gli specchi…aspetta domani e vedrai, è una sorpresa.”

“Mmm…Va bene, aspetterò…”

“Adesso devo andare…”

“Solo una cosa Levy”

“Sì?”

“Me lo daresti uno di quegli specchi, non importa se satinato o cosa, devo fare un regalo, l’importante è che sia grande almeno così” e fece il gesto dell’ampiezza con le braccia

“Benissimo, nessun problema. Ne porto sempre qualcuno con me, come campionario”

“Solo che io, in quanto a soldi…”

“Non importa, capitano, non importa. Commerciante, ebreo, certo, ma non fino a questo punto. Uno specchio a un superiore non si rifiuta di certo”

“beh…grazie Levy”

“Buonanotte capitano”

“Buonanotte recluta…buonanotte…”

rompete le righe…fu l’ultima parola sbiascicata che Levy sentì pronunciare alle sue spalle, con venatura ironica…

Quella notte Levy andò a letto a dir poco eccitato dal frastuono dei pensieri, dalle mille immagini di successo che gli scorrevano leggere in testa. Si sfilò la giacca nera, e la appoggiò piegandola malamente sulla sedia della camera, si tolse la camicia e rimase a guardarsi allo specchio con aria soddisfatta per alcuni minuti. Immobile, con indosso solamente i pantaloni neri e una canottiera bianca. Il piccolo e tenue bagliore del lume proveniente dal comodino indugiava sulla pancia grassa mostrando tutti gli aloni di sudore che una giornata di viaggio può portare ad un uomo sedentario, arrivando ad inquadrare i neri baffi arricciati da presentatore di circo e la testa canuta. Un neo appena sotto l’occhio destro rendeva il suo sguardo ora più convincente, ora più meschino, a seconda delle espressioni che il commerciante presentava allo specchio, a loro volta dipendenti dai pensieri che i meandri della sua mente richiamavano. Si vedeva in panciotto o in frac brindare a un finalmente lusinghiero successo, magari accompagnato in un salone teatrale da una o più dame dalle più delicate fattezze e tenere espressioni; si vedeva in un circolo di snob aristocratici a brindare con coppe di champagne, magari fumando un pregiato sigaro, discorrendo dell’economia e dei provvedimenti governativi, con teatralità e apparente convinzione, ma con la distrazione propria di chi problemi economici non ne ha e non ne avrà.

Fu così, che le mani che slacciavano la cintura per riporre i pantaloni lo presero quasi alle spalle, come se non fosse stata veramente una sua azione, come se un ingranaggio avesse deciso improvvisamente di funzionare senza il consenso del pensiero, e fu così che distolse la mente dai sogni per dedicarsi a una breve toeletta prima di concedersi il riposo. Si buttò un po’ d’acqua fresca in viso, si tocchicciò i baffi per verificarne l’esatta e composta arricciatura, si asciugò le poche gocce che correvano sulle guance ispide e si incamminò verso il letto. Si sentiva come un piccolo semidio. Nessuno, tranne lui, sapeva cosa stava per succedere a Roscoff, e questo lo faceva sentire importante, come se avesse potuto decidere le sorti di quel paese e di quelle persone. Con un ultimo sorriso, ubriaco di pensieri gloriosi, soffiò sul lume e si coricò in una goffa posizione fetale.

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venerdì 26 ottobre 2007

Il dono di Essere Madre

Estratto dal libro: Il dono di essere Madre di Cristina Giunco

Mercoledì, 23 febbraio 2005

Il 23 febbraio 2005 io, Enrico e il nostro piccolo Spank siamo venuti a sapere che aspettiamo un bebè, una notizia meravigliosa, che ci lascia increduli anche tutt’ora, siamo rimasti sorpresi perché l’avere un bimbo è un gran dono di Dio…e poi essendo in Quaresima, Gesù non poteva farci un regalo migliore. Il 20 Febbraio ho avuto una perdita di sangue e pensavo mi fosse arrivato il ciclo; era domenica nel pomeriggio, e alla sera mi sono accorta che non avevo più perdite; il fatto mi è sembrato molto strano, cosi abbiamo iniziato a guardarci e a non capire: “Sarò incinta?”.
Dopo tre giorni di mancanza del ciclo ho fatto il test di gravidanza preso in farmacia, alle 7.50 della mattina eravamo tutti in bagno….anche il nostro micino Spank; il test è risultato subito positivo, ne ho fatto un altro alle ore 12.30 e anche questo è risultato sempre positivo. Ora mi affido e ci affidiamo solo a GESU’, l’unica persona che è in grado di fare tutto, poiché a Dio “nulla è impossibile”. La dottoressa dice che sono già di 4 settimane, mi sembra così strano e meraviglioso nello stesso tempo. Adesso però sento molte persone che mi dicono di stare attenta ad ogni cosa, ad ogni movimento, ad ogni peso preso, avere cura di me stessa come forse non ho fatto mai. Anche in questo dono mi rendo conto di quanto Dio sia grande e potente, ma mi rendo conto di quanta poca fede ho io, perché, se la mia fosse così forte da spostare le montagne, non avrei paura di perdere il piccolo seme che sta nascendo dentro di me.
Mi sento un mezzo umano e materiale che deve portare a buon fine questa “fantastica avventura”, mi sento addosso una responsabilità che mi attrae, mi stupisce, mi fa sentire donna e mamma bambina. Si, perché a volte mi sento ancora una bambina che deve imparare tante cose. Sento tanto il bisogno di affetto e dolcezza, sento Dio in ogni passo che faccio, lo percepisco nell’aria che respiro, nella candela che vado ad accendere in Chiesa tutte le mattine, lo sento vicino a me che mi tiene forte la mano. Da piccola ho sempre sognato di sposarmi, ma di diventare mamma non l’ho mai pensato, o meglio, non ho mai creduto che io potessi diventare madre. La mia preghiera più grande è che nasca in salute e possa portare a termine questi 9 mesi di emozioni, crescita, sensazioni, amore, paure e quanto altro….


Un canto di Preghiera per te!

Non so ancora il tuo nome, non so ancora il tuo sesso, ma so con certezza che sei un Gran Bel Dono di DIO! Come un piccolo seme sei stato piantato in un terreno che piano piano prenderà forma insieme a te, sei così piccolo, sei cosi piccola... ma cosi forte e potente è il Grido di Dio che risuona in me ogni giorno come una ninna nanna da cantarti, come un Amore cosi immenso da donarti. Ogni giorno è un giorno nuovo, ogni sole e cielo azzurro sono per te, per insegnarti a sorridere e a farti capire quanto Dio è grande e potente per averci regalato ogni creatura e ogni paesaggio di questa vita terrena. Nascerai anche tu su questa Terra, così difficile e bellissima, lascerai in Cielo la tua vera casa, i tuoi veri Amori, quante cose che ti starà dicendo tuo Padre in questi mesi, quante cose ti starà raccontando e chissà cosa gli starai chiedendo tu... quando arriverai qui ti sarai dimenticato/a tutto, ma avrai tanti ricordi che camminando e camminando ritorneranno a farti compagnia e a vivere un pò di quella malinconia meravigliosa. Maria, dolce mamma, sorella e amica insegnami ad amare come hai fatto tu, insegnami ad accettare questo dono come hai fatto tu, insegnami a farlo innamorare di Dio come hai fatto tu, Maria, aiutami ad essere un mezzo per questo prodigio che verrà su questa Terra e dedicherà sorrisi, lacrime, voce nuova, parole nuove, sguardi nuovi e preghiere nuove a modo suo. Aiutami a comprendere questo grande regalo, aiutami a rimanere in silenzio per amare Dio e ringraziarlo ogni giorno, aiutami a sorridere anche quando ho un pò paura. Ogni giorno accendo una piccola luce in Chiesa per fare in modo che diventi una grande Luce...
Signore, accompagnaci in questo nostro nuovo viaggio insieme, Gesù, aiutami a camminare per questa nuova strada con te accanto, con il tuo amore e con la tua misericordia; ci stai donando molto e siamo quasi consapevoli che su quanto ci hai regalato tanto ci chiederai, preparaci ad essere pronti nelle scelte che ci chiederai, aiutaci a non deluderti, aiutaci a rimanere uniti per tutta la vita.

AMEN


Anniversario e prima visita

Ci stiamo avvicinando al 3 Aprile, il giorno in cui ci siamo sposati; abbiamo deciso di partecipare alla Messa domenicale delle 11 e di farvi partecipare i genitori, qualche parente e tanti amici, le persone a noi più care e forse più importanti; faremo tutto alla Parrocchia San Matteo, ci sarà la benedizione del nostro Matrimonio, delle nostre fedi e probabilmente del bimbo o bimba che è all’interno di me, poi faremo il rinfresco in una sala della Chiesa, in oratorio. E’ passato un anno ed è passato cosi veloce…ma è stato molto intenso e pieno di emozioni, con tante novità, io ed Enrico siamo seguiti spiritualmente da un Frate Francescano di Assisi che ci è stato molto vicino in tutto il nostro cammino, spesso è stata la nostra forza ed è stato il nostro appoggio nei momenti di debolezza, Dio è sempre stato presente ed ora si sta manifestando sempre più forte nella nostra vita. Gesù ha unito il nostro rapporto, l’ha unito dopo tanti piccoli problemi; fin dall’inizio hanno tentato di separarci, ma non c’è mai riuscito nessuno fino in fondo e di questo dobbiamo ringraziare solo Lui.

Oggi è il 30 Marzo 2005, e andremo a fare la prima visita ginecologica dalla Dottoressa che ho scelto, sono molto imbarazzata perché non sono abituata, anche perché le mie cose intime sono mie e mie devono rimanere, ma spero possa essere una persona dolce e gentile e soprattutto socievole, così da riuscire a condividere con lei tutto quanto e ogni piccolo dubbio. Non so che cosa scopriremo questa sera, se sapremo il mese, ma sicuramente farà tante domande e poi mi dirà di fare l’ecografia..
Il pancino cresce sempre di più, mi sto abituando alla trasformazione del mio corpo, mi sembra strano e subito non è stato facile, però ora devo dire che è qualcosa di molto bello perché vedi con i tuoi occhi che sta crescendo e prende forma in te. Un piccolo seme, piantato, curato ed ora in crescita per una vita nuova. Vorrei esprimere e scrivere tantissime cose che ho nella mente, ma non è molto semplice, perché dovrei fare un po’ di ordine e mi rendo conto che ora stanno bene lì dove sono. Al nostro matrimonio ci regalarono un libro con scritte queste parole:

“E’ bello camminare insieme, tenersi per mano, parlare, stare in silenzio,
guardarsi negli occhi, guardare un tramonto, un torrente che corre, il verde dei prati,
il colore dei fiori e salire salire sempre più in alto,
quasi a voler toccare il Cielo.
E’ bello camminare insieme e tenersi per mano,
oggi, domani, sempre…”


Un anno molto particolare!

In questo anno Dio ci sta regalando un dono molto grande, un dono ancora forse incomprensibile e cosi pieno d'amore da sentirsi in dovere di dire GRAZIE ogni secondo della giornata. In questo momento, mentre sto scrivendo, si stanno celebrando i funerali di Papa Giovanni Paolo II..."Il Grande" . Lo ricorderò con la frase che ha aperto molti cuori: "Non abbiate paura, aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!" Il 3 Aprile abbiamo fatto un anno di matrimonio, e durante la Messa svolta al San Matteo di Tortona, c'è stato il ricordo di questo Pastore e Maestro nel Mondo; l'anno scorso ci siamo sposati nella Giornata Mondiale per la Gioventù e quest'anno il Papa è morto il giorno prima.
Non ci sono parole per descrivere la grande fede che quest'uomo aveva e ha nei confronti di Dio, quante cose abbiamo ancora da imparare, quante cose che ci sono ancora da fare. Penso al bimbo oppure alla bimba che piano piano sta nascendo all'interno di me, a volte mi sento così fragile e non capace di essere mamma, altre volte invece mi sembra di essere già pronta..ma sarà Gesù ad insegnarmi e ad accompagnarmi insieme ad Enrico in questo nuovo e grande viaggio insieme mano nella mano. Il mio corpo sta cambiando, ogni giorno lo guardo, lo osservo, lo scruto e mi domando: "Ma è tutto vero?" La natura, la vita..Dio.. com'è tutto meraviglioso e straordinariamente grande per uomini e donne come noi. A volte rimango senza parole, a volte poso le mani sulla pancia per ascoltare, per sentire... per comprendere quel silenzio che vive in me, per essere insieme in questo passaggio, per non fargli avere paura e per dirgli: "Io sono qui e ti sto aspettando!" Nella piccolezza di me stessa prego il Dio, prego Maria per donarmi la forza e per donarmi il sorriso e il grande Amore. In questi giorni sto anche riflettendo molto: "Ma Gesù cosa ci sta chiedendo"? In questo momento ci sta chiedendo di diventare genitori di un suo prodigio, suo e non nostro, ci sta chiedendo il compito di istruire questo piccolo dono-seme che ha messo dentro di me e che poi sboccerà per entrambi. Prego Dio affinchè questo bimbo o bimba possa avere il dono della Missione per condividere insieme come famiglia la Missione nel mondo.
Ho scritto tante cose, ed ora in televisione ai funerali stanno dando la Comunione, e volevo finire dicendo:




Che il Mondo possa sentirsi ed
essere libero dal Male!

mercoledì 24 ottobre 2007

Venerdì ero diversa dal solito

Racconto di Giovanni Micolucci

VENERDI' ERO DIVERSA DAL SOLITO


Occhi sicuri faccia sicura. Sprezzo per la gioia di tutti; contro ogni pregiudizio contro tutto. Qualche sguardo poche parole, voglia di sfogarsi e di buttarsi, assieme alle mie parole che sembravano lance a sfogare rabbia e nervoso. Ho vissuto una serata dedita al desiderio velato di conoscere me stessa, salvata solo dalla mia troppa esagerata voglia di non ferire nessuno dentro, di far pentire le loro scelte e ti rendi conto di quanto poco conta in quei casi aver paura vergogna di che? Di dire di aver bisogno di qualcosa che va contro l'amore contro tutto ciò che è stata religione ed è tuttora religione! Il fondale c'era, le voci anche. Scomparse poi in quello che io chiamo desiderio di verginità infranta, voglia di conoscere di oltrepassare qualcosa di così statico, carezze dolcezza e passionalità. Di certo altra donna consolata sarebbe del fatto, che non tutti avrebbero la mia stessa possibilità, o per lo meno avrebbero il coraggio di oltrepassare ogni limite, di spingere il tutto all'eccesso e di scrollarsi di dosso quella voglia repressa che quelle mie compagne avevano. Voglia di scherzare di sorridere su qualcosa di buffo… buffo era solo il nomignolo ma non il sentimento. Che gioia vederle perdersi in quel modo, lasciarsi andare; vedere incrociare i loro corpi con il mio e non riuscirsi a staccare l'uno dall'altra nei momenti di mancanza. Vedevo le loro mani unirsi accarezzarsi baciarsi nelle parti in cui non è osato dar vita alla luce, il caldo atroce diventa lieve respiro, la timidezza si trasforma in passionalità e diventa tutto un gioco di carezze di sguardi persi, di voglia di perdersi e di lasciarsi andare. Se qualcuno avesse visto… come si intrecciano così in modo assurdo forse avrebbe compreso quello che è in noi… Lasciarsi di botto, portare la calma, mentre si consumano gli ultimi sguardi, mentre si torna alla civile vita togliendosi di dosso le proprie carni e rimettendo nei giusti luoghi la propria vita… Sorridevo mentre loro una nel fianco e due alle mie spalle vedevano scorrere con me la strada nel continuo baciarsi… toccarsi… sfiorarsi… le sentivo calde… respirare vicino… mentre io evitavo ormai di entrare a contatto per tornare alla normalità… nemmeno una parola di saluto era quello lo scopo della serata… un sorrisetto due o tre mie parole così buttata all'aria… quasi a dire Arrivederci e grazie. Lasciando uno scontrino abbastanza pesante… perdita di un'unicità infinita… e nascita di qualcosa che ti fa pensare a quanto sia vicino il peccato umano e di come facile sia toccarlo nella sua passionalità... poco dopo ero spinta da altro caldo sentimento… la stavo portando al mare dove avrei potuto scoprire chi era nel profondo… ma non so perché come un sogno che svanisce così… anche io sono svanita ai suoi occhi… facendole dimenticare di ciò che stava per accadere… un piccolo pianto e voglia di accarezzare… una mia amica che tempo fa con la sua amicizia ha fatto male a me e la mia vita… rifiutando la mia nuova natura… ridonandomi ancora più tristezza di quella che avevo ricevuto… ma il suo sorriso è tornato il mio invece ora è ancora talmente lontano da ripudiare certi giorni e scene in cui tutti si illudono di sapere e non conoscono affatto la voglia repressa di vivere profonda nel mio cuore!!! La voglia di saltare da un lato all'altro della strada con la sola forza dei piedi… la voglia di appoggiarsi a qualcuna per dirgli ti Amo senza esser giudicata e stringerla forte… allora si donare il vero amore e forse quell'intrecciarsi di corpi avrebbe avuto un senso più grande non esplodere per il troppo volersi bene… ma mi domando quando i miei occhi potranno sorridere potranno davvero dire una parola senza esser giudicata? quando? forse in un'altra vita. Perché di altre vesti sarà il mio amore… a quanto pare destinata a restare sola destinata a vivere di ciò che i miei pensieri, la mia voce, la mia voglia di vivere di riflettere e di assaporare la vita porti in me il grembo della gioia repressa… Stupita come ti senti a sentire, tutto ciò che dentro ti accarezza? Che ti respira affianco, che ti fa sentire il peso di quello che è dentro il tuo bene represso straziato… Voglia di sfogarsi di appoggiarsi di non piangere più per ciò che è futile per ciò che per forza ha voglia di turbare il tuo sorriso… di questa natura repressa… E' un ricordo di una mia giornata e di te ora che ti ho trovata…

Informazioni sull'autore

Scricchiolino

Primo capitolo del libro: Scricchiolino di Valeria Marzoli Clemente

Maggiori informazioni http://stores.lulu.com/marzolivali



Un invito elettrizzante - Capitolo 1

“A casa di quella peste non ci voglio andare” protestò Andrea pestando i piedi a terra.
“Andrea! Fabiola è stata così gentile da invitarti alla sua festa di compleanno, sarebbe molto scortese non andarci” ribatté la mamma non nascondendo una certa stizza.
“A voler essere precisi, a me non ha detto proprio niente, invece, con la sua solita faccia tosta è venuta a chiederlo a te” rispose Andrea con la gola che gli era diventata secca come non mai.
“E che differenza c’è?” chiese lei aggiustandosi una ciocca di capelli che, come un vezzo, le era caduta davanti agli occhi.
“Che differenza c’è?” gridò lui diventando paonazzo dalla rabbia.
“Ho risposto io per te, e allora?”
“E non ti è mai venuto in mente che io possa pensare diversamente da te?”
“Andrea, ma che sciocchezze vai blaterando, tu sei mio figlio” rispose la mamma ed emise un profondo sospiro.
“E cosa significa?”
“Significa che io ti conosco più di te stesso” sottolineò lei, guardandolo dritto negli occhi.
Questa era l’affermazione che più di ogni altra lo innervosiva; la presunzione della mamma di conoscerlo più di se stesso la riteneva una delle forme più odiose di mancanza di rispetto.
“Ma il fatto che io non voglia andare, non ha nessuna importanza per te?” continuò a gridare il ragazzo con quanta voce aveva in gola.
“E’ una tua amica.”
“Te l’ho già detto stamattina, lei non è una mia amica” sottolineò lui con una punta di sarcasmo nella voce.
“Non è una tua amica...!!!? Ma che dici? Frequentate la stessa classe?”
“E questo per te basta per essere amici?” urlò Andrea che stava per perdere il controllo delle proprie azioni.
“Non fai altro che lamentarti perché da quando l’anno scorso, ci siamo dovuti trasferire qui a Città di Castello, non ti diverti, non hai amici...”
“Allora...?”
“Allora quale occasione migliore di una festa di compleanno per conoscere qualcuno? Senza contare che Fabiola è la figlia del sindaco...” disse la mamma con quel suo modo di parlare per sottointesi e non terminare mai le frasi.
“Cosa vuoi dire?” la incalzò il figlio.
“Potrai fare amicizia con tanta bella gente” rispose lei mentre riponeva nel guardaroba i vestiti stirati.
“Ovviamente” la prese in giro Andrea senza che lei neppure se ne rendesse conto. Ciò che lo salvava dalla furia, dall’invadenza ossessiva della mamma, era questo suo continuo modo d’ironizzare su tutto, di non prendere mai niente sul serio.
“Sì, ovviamente” rispose la mamma con l’aria di chi ha un diavolo per capello ed è sul punto di esplodere.
“Mamma, io non voglio fare amicizia con quella banda di balordi.”
“Banda di balordi? Ma se sono dei ragazzi così carini e ben educati!” esclamò stupita lei e sgranò gli occhi.
“Io, i miei amici, preferisco scegliermeli da solo, non ho mica bisogno della balia, io.”
“Già, però qui continui a stare sempre da solo e se non sbaglio anche a Benevento, era la stessa identica storia. Stavi sempre da solo” lo schernì lei pungente e sottile come una lama di coltello.
“Ti sbagli, a Benevento c’era Michele.”
“Sì, buono quello, non gli usciva una parola dalla bocca neanche se provavi a tirargliela con la pinza...”
“Non è vero. Lui mi voleva bene e anch’io gliene volevo” disse Andrea e la voce gli tremò un po’.
Sì, era proprio vero, far parlare Michele non era un’impresa delle più facili ma loro due s’intendevano lo stesso anche solo con gli sguardi. A volte, restavano per delle ore senza scambiarsi una parola eppure entrambi sapevano che sull’altro si poteva sempre contare.
“Ti prego, non fare il melodrammatico con me. Non ce n’è alcun bisogno” lo stoppò subito la mamma con un gesto fermo ed altrettanto eloquente della mano.
“Mamma...”
“Piuttosto ritorniamo alla nostra discussione. Perché continui a stare sempre da solo e non esci mai con i tuoi amici di scuola?”
Andrea in un lampo si ricordò della spiacevole esperienza dello scorso mese e rabbrividì:
“Vuoi venire al Luna Park insieme a noi?” aveva chiesto Paola, la porca più porca di tutte, con un’espressione sincera dipinta sul viso.
“Su, non farti pregare” aveva incalzato Fabiola sfoderando uno dei suoi sorrisi.
“All’autoscontro e...” aveva aggiunto laconico come il suo solito Francesco.
“Dai, vieni, vedrai che bel divertimento” lo aveva interrotto spavaldamente Giampiero.
“Ci divertiremo moltissimo” aveva ridacchiato Simone.
“Sì, proprio moltissimo” gli aveva fatto eco Marco l’altro gemello.
“Da morire...” aveva ribadito Francesco con un filo di voce, ma con uno strano ghigno, che non lasciava presagire niente di buono.
“Esatto, proprio da morire...”
“E chiuso con il passato...” era intervenuta Marcella vedendolo ancora leggermente titubante.
“Promesso.”
“Promesso.”
“Promesso.”
“Sì, promesso” aveva confermato quella vezzosa di Titti infervorandosi come non mai e mettendo in mostra lo splendore dei suoi denti.
“Già, chiuso con il passato” avevano ripetuto in coro tutti quei ragazzi, alzando la mano destra all’altezza della spalla e ponendo la sinistra sul cuore, per meglio sigillare il loro giuramento.
Andrea avrebbe voluto rifiutare quell’invito che non lo convinceva del tutto, ma per non sembrare riluttante a qualsiasi, se pur minimo, tentativo di riappacificazione, alla fine, si era arreso e sebbene di malavoglia accettò.
Per un bel pezzo, lui non aveva abbassato la guardia perché aveva deciso che sarebbe stato meglio stare sulle sue e tentare di capire le reali intenzioni del gruppo. Era teso come una corda di violino e non riusciva a divertirsi neanche un po’.
“Scri... anzi, scusami... Andrea vuoi delle patatine?” gli aveva domandato con un sorriso chilometrico Paola quando finalmente erano arrivati al Luna Park.
“No, grazie.”
“Guarda che mi offendo.”
“Ma... solo una.”
“Una non si può, due sono poche e tre è il numero perfetto. Allora devi prendere tre patatine” aveva scherzato Paola con tono amabile e nello stesso tempo sicuro di sé.
“Ehi, ma che patatine e patatine..., a me è venuta una fame pazzesca. Andiamo tutti a prenderci una pizzetta e per festeggiare questa nuova amicizia, offrirà Andrea” aveva sentenziato Giampiero dandogli una vigorosa pacca sulla spalla.
Ovviamente Andrea non aveva obiettato nulla ed, in fondo, era anche felice di essere stato accettato dagli altri.
“Sì, sì, offro io” lui si era precipitato a precisare ma non c’era alcun bisogno di quella conferma perché il capo aveva già deciso così e nessuno, neanche lontanamente, poteva disobbedire ai suoi ordini; quindi tutti si diressero verso il bar del Luna Park.
“Pizzette per tutti” aveva detto Giampiero che si era avviato per prima.
“Sì..., sì..., buona idea. Una bella pizzetta calda per tutti” aveva ribadito Fabiola con un sorriso caramelloso.
“Anche a me...”
“Anche a me...”
“Ehi... Andrea, vedi di non dimenticarti di me” aveva precisato Mario leccandosi le labbra.
“Uhmm... ci voleva proprio questa pizzetta. Mi ha rimesso in sesto” aveva detto Francesco passandosi una mano sulla pancia.
“Veramente buona.”
“Al Luna Park fanno le pizzette più saporite del mondo. Sono uno schianto” aveva rincarato la dose Marcella.
“Non so voi ma io con una pizzetta non ho fatto proprio niente. Andrea, sai che ti dico? Io ne prendo un’altra” aveva detto Giampiero con aria decisa perché lui non doveva dar conto a nessuno delle sue azioni anche se erano gli altri a dover pagare. I capi si distinguono anche per questo.
“Fai pure, non preoccuparti, ci penso io. E anche voi se volete un’altra pizzetta, prendetela, siamo degli amici e i veri amici si comportano così” aveva subito precisato Andrea felice fino alle stelle di essere considerato uno del gruppo.
“Beh, se proprio insisti.”
“Sì, sì, non c’è nessun problema.”
“Sicuro...?” aveva ridacchiato Marco.
“Sì, sicuro, sicuro.”
“Allora, sai cosa c’è di nuovo? Se non c’è nessun problema, anch’io prendo un’altra pizzetta” aveva sorriso Fabiola.
“Ehi, ci sono anch’io.”
“Io, invece prendo qualcosa da bere.”
“Già, una bella birra, ci vuole proprio” aveva confermato Simone.
“Una birra anche per me” era intervenuta prontamente Titti.
Insomma, quella banda di balordi ad Andrea non sembrava più così balorda. Anzi quei ragazzi erano tutti dei gran veri amici che lo stavano trattando come uno di loro.
Dopo essersi rifocillati ben bene, poi erano andati all’autoscontro. Sulla pista era stato un susseguirsi di grida e di risate a squarciagola.
Crash!
“Aaah...”
Crash!
“Aaah...”
Crash!
“Aaah...”
“Che bello” aveva detto divertita Fabiola tamponando Francesco.
Poi Marcella aveva girato il volante e si era diretta verso la macchinina di Andrea.
“Che fai lì fermo vicino alla pedana?” gli aveva gridato Marcella con un sorriso sincero e largo come uno schermo cinematografico.
“Sembri proprio un baccalà” aveva scherzato Titti che non si faceva sfuggire la benché minima occasione per essere, molto “gentile” nei confronti di Andrea.
Ma lui non le aveva badato oppure sarebbe meglio dire che non aveva voluto badarle.
“Aaah...”
“Il bello è tamponare gli altri” aveva strillato Mario dal centro della pista.
“Guarda me” aveva sottolineato Fabiola che sta-va scorazzando felice e contenta per tutta la pista, tamponando chiunque le capitasse a tiro.
“Dai, vieni!”
“Svegliatiii...”
“Vieniiiii.”
“Aaah.”
Allora Andrea si era fatto coraggio ed aveva urtato il veicolo di Marcella ma senza spingere molto forte sul pedale.
“Nooo...”
“Non è così che si gioca.”
“Aaah...”
Andrea si era rilassato ed aveva cominciato a sorridere. Adesso sì che era tra veri amici!
Quindi, aveva pigiato il piede con molta più decisione sul pedale, tamponando la macchinina di Giampiero il quale, colto di sorpresa, battè con una certa violenza il mento sul volante.
Entrambi erano divenuti lividi: uno per la paura, l’altro per l’affronto subito.
“E bravo” aveva detto a denti stretti e con aria minacciosa Giampiero, asciugandosi con il palmo della mano una piccola goccia di sangue.
“Proprio bravo il bambinello.”
“Eh sì.”
Andrea subito aveva capito che la tregua stava per concludersi ed anche in malo modo e questo valeva soprattutto per lui.
“Facciamogli vedere chi siamo.”
“Già...”
“Chi è che comanda qui...”
“Diamogli una lezione” aveva biascicato Giampiero.
“Sì, una bella lezione.”
“Una lezione che non si dimentica facilmente” aveva ribadito Simone.
“Una lezione da brivido” aveva sentenziato ancora Giampiero.
Andrea, in un lampo, era stato accerchiato dalle macchinine della banda ed un sudore freddo, che gli impediva perfino di urlare, gli scese per la schiena.
Poi aveva chiuso gli occhi, messo le mani sul viso ed atteso l’inevitabile urto.
“Viaaa!” Giampiero aveva gridato con quanto fiato aveva in gola l’ordine di attacco.
E così, quei gradassi avevano schiacciato l’acceleratore delle proprie macchinine e si erano scaraventati a tutta velocità, sul veicolo di Scricchilino. Quello che ne era seguito, è facile immaginarlo. Andrea sanguinolento e piangente era fuggito via. Aveva iniziato a correre all’impazzata per non permettere al dolore, per non permettere a quella ingombrante sensazione d’impotenza, d’impossessarsi del suo corpo facendogli un male da morire.
Soltanto quando si era sentito totalmente esausto, si fermò. Il respiro, per un attimo, gli mancò e dovette appoggiarsi a un vecchio platano sulla collina, ansimante come non mai. Le tempie iniziarono a sbattergli senza tregua ed il cuore avrebbe voluto schizzare via dal suo petto. Era completamente sfinito e senza più neppure un briciolo di forza per continuare.
“Noooooo...”
Un urlo disperato gli era salito da dentro l’anima e gli esplose nella bocca. Pallido e tremante, si lasciò cadere a terra e pianse tutte le lacrime del mondo intero.
Ancora oggi, il ricordo di quella scena lo faceva tremare di paura, di rabbia e di dolore.
“Mamma, mi prendono in giro tutto il giorno. A scuola, per me, è un inferno. Io a quella festa non ci voglio andare” la supplicò Andrea, che si era riavuto da quel brutto ricordo.
“Non so più come fare con te...”
“In che senso?” chiese stupito Andrea.
“Ti sarai immaginato tutto. D’altronde, con la fantasia che ti ritrovi... non sarebbe la prima volta. Tutta la giornata, non fai altro che sognare, sognare e ancora sognare.”
“No, mamma. Ti dico.. che è... vero. Tu non sai... cosa debbo... sopportare” balbettò Andrea vincendo quell’innato pudore che aveva quando doveva, realmente, parlare di se stesso.
Qualsiasi mamma di fronte a queste parole del figlio, si sarebbe seduta ed avrebbe detto “Amore mio, cosa c’è che non va?”
Qualsiasi mamma.
Non la mamma di Andrea.
“Forse ho sbagliato, forse ti ho troppo viziato” invece furono quelle le parole che lei pronunciò.
“Oh, mamma...” frignò il ragazzo nel vano quanto inutile tentativo di commuoverla.
“Smettila” ribatté lei per tutta risposta incrociando stizzita le braccia.
“Mamma, io a quella festa non ci voglio andare.”
“Vedrai, ti divertirai un mondo.”
“Certo. Sarò lo zimbello della serata.”
“Come sei petulante” lo liquidò lei con poca grazia e continuò a riporre i vestiti nell’armadio.
“Perché non capisci?” chiese esasperato Andrea che aveva le orecchie tutte rosse. Gli capitava sempre quando non riusciva a controllare le proprie emozioni. Allora, le orecchie gli diventavano rosse rosse come due carboni ardenti. Si odiava per questo e per molte altre cose ancora. Ma questa era la cosa che più non riusciva a sopportare di se stesso.
“Perché arrossisci? Non hai il coraggio di ammettere che ho ragione?”
“Io non ci andrò.”
“Oh sì che ci andrai; ho dato la mia parola” puntualizzò lei con aria di sfida.
“La tua, ma non la mia” piagnucolò Andrea che si sentiva esausto e privo di forze come dopo una lunga battaglia inevitabilmente già persa ancora prima di cominciare.
“Io ti dico che ci andrai e adesso non voglio sentire più storie” concluse lei con voce dura.
Discutere con la mamma era perfettamente inutile, tanto si finiva sempre con il dover fare quello che lei voleva.
“Quella dannata gallina la spunta sempre. Lo giuro, prima o poi la spennerò” bisbigliò Andrea senza neppure accorgersi che la mamma lo stava guardando.
“Andrea, quante volte ti debbo dire che queste parole non le voglio sentire?” strillò lei tutta spazientita.
“Era così, tanto per dire.”
“Non mi piace che queste parole escano dalla tua bocca.”
“Sì, hai ragione.”
- Posso anche non dirle, ma non puoi di certo impedirmi di pensarle. E posso fare anche di peggio - disse fra sé Andrea, mentre sentiva la rabbia crescergli den-tro ed impossessarsi di lui, dalla cima dei capelli fino alla punta dei piedi.
“Così va meglio.”
“Già...”
“Ah, non appena avrai un po’ di tempo, ricordati di travasare le piantine di primule nel vaso grande di terracotta.”
“E se non ne avessi voglia?” chiese lui con voce impertinente.
“Beh, non fa niente. Vorrà dire che se sfioriranno tutte, le getterò” fece lei, sapendo bene di pungerlo sul vivo perché Andrea aveva una vera e propria passione per le piante ed, in generale, per la natura.
“Domani le travaserò.”
“Lo sapevo” sorrise la mamma per la vittoria riportata.
Una sensazione di stanchezza senza fine s’impadronì del corpo del ragazzo che si lasciò cadere sfinito sul letto.
“Che fai?” urlò stizzita lei.
“Nie...niente...”
“Niente eh!? Fai la persona seria e smettila di fare il cascamorto. Piuttosto pensa a essere più ordinato. Oggi ho controllato il tuo zaino. Un vero disastro!”
“Mamma...”
“Hai tutti i libri e i quaderni scarabocchiati. Vergognati! Invece di stare attento alle lezioni, che cosa fai? Rovini tutti i quaderni e i libri nuovi. Ma che figura mi fai fare con i professori!!! Debbono pensare che io sono una sciattona se ti permetto di sciupare tutto senza dirti niente. Ma da oggi in poi si cambia musica, ho sopportato abbastanza. Da domani controllerò ogni giorno lo zaino e se troverò ancora un altro scarabocchio, ti toglierò il lettore CD. Ancora vergogna!” disse acida la mamma e nelle sue parole non si capiva se ci fosse più rabbia o più disprezzo o se tali sentimenti fossero equamente divisi.
“Non sono stato io. Tu mi conosci” provò a protestare Andrea e saltò in piedi con un’espressione di frustrazione dipinta sul viso.
“Appunto” commentò lapidaria lei.
“Mamma, credimi almeno una volta.”
“Ah sììì..., allora chi è stato, il fatino turchino?”
“Ma non lo capisci? Sono stati loro, ma tanto già lo so che tu non mi credi. Come sempre.”
“Chi “loro”?”
“Loro, i miei compagni di scuola. Sono un branco di maiali” protestò Andrea e la voce gli divenne sottile come quella di un bimbetto.
“Prima di tutto, lo sai bene che non mi piacciono queste parolacce e poi perché non ti decidi a crescere e a assumerti le tue responsabilità?
Un lungo silenzio avvolse la stanza ed il tempo parve fermarsi per dei lunghi minuti.
“Se non ti dispiace, ora voglio dormire” sbottò alla fine Andrea che aveva voglia di restarsene da solo fino alla fine dei suoi giorni.
“Ehi, ragazzino, non usare questo tono con me” prontamente precisò lei lanciandogli uno sguardo gelido.
“Ma quale tono!!!?”
“Lasciamo perdere che è meglio.”
“Già..., lasciamo perdere...”
“Ah, stavo quasi dimenticando di darti il bacio della buonanotte” disse lei alzando le sopracciglia.
“Mamma, sono grande e tutte queste smancerie non le sopporto più” sbottò il ragazzo nel fievole tentativo di sfuggire all’ossessiva cappa materna.
“Sei grande?” ripeté lei che era rimasta senza più parole.
“Sì, sono grande.”
“Lo deciderò io quando sarai grande” replicò con fermezza la mamma schioccandogli l’inesorabile bacio della buonanotte.

Impurità

Estratto dal libro: Impurità di Dario Cannizzaro

Maggiori informazioni

[...]

Non aveva un granchè di lavoro. Bè, era un lavoro, senza dubbio. C’era arrivata dopo aver considerato, ad esclusione, le ipotesi: saltimbanco, mangiafuoco, giocatrice professionista di tennis, motociclista, calciatore, psichiatra, politico, portaborse, usciere di un club di ricconi, psicologo, conduttore televisivo, cantante pop.
Se quelli erano lavori, anche il suo lo era.
Faceva, ogni giorno, cinque ore di dettatura telegrammi. Sai quando alzi la cornetta, e dall’altra parte ti risponde la signorina –il più delle volte obesa e piena di pustole putrescenti in viso, ma con una voce bellissima- quant’è facile ingannare i sensi- insomma, ti risponde e tu le detti il telegramma? Ecco, quello faceva Carola. La signorina dei telegrammi. All’inizio le piaceva.
Poi, arrivò il rovescio della medaglia.
Insomma, a parte la monotonia del lavoro, c’era un aspetto dei telegrammi che Carola non aveva considerato. L’utenza maggiore, quella che probabilmente teneva su l’intera baracca dei telegrammi, era quella che lei chiamava delle condoglianze. Arrivavano decine, centinaia di telefonate di condoglianze in un turno di lavoro, tutte più o meno simili, uguali – forse che il sentimento, di fronte alla morte, diventa simile per tutti – forse che tutta la storia delle frasi fatte da parente morto o conoscente schiattato è un’invenzione umana, una sublime opera architettonica di protezione dell’anima, strumento fragile, si – sarebbe bello, sarebbe bello se tutte le convenzioni, il gioco di rituali a parole e discorsi e movimenti – tutto, sarebbe bello se tutto quanto fosse stato inventato dalla machiavellica mente umana solo a scopo protettivo.
Le convenzioni, le formalità servono a proteggersi. A proteggere il cuore dai sentimenti negativi, dev’essere così, l’uomo è creatura troppo fragile, ma furba, dannatamente furba, e ha creato un universo di gesti e posture standard dietro il quale si sente sicuro, tranquillo. Sarebbe bello, se fosse davvero così. Carola lo credeva. Dopo che per centotredici volte in sei ore senti parlare di morte, un paio di riflessioni le fai. E lei era arrivata a questa conclusione, squisitamente falsa, che innalzava perlomeno la stirpe umana ai suoi occhi. Aveva questa mania di correggere i difetti del mondo nella sua testa, una sorta di dissonanza cognitiva globale ed attiva, che la permeava completamente.
Sta di fatto, che un giorno il lavoro di Carola le cambiò la vita.
Cioè, in realtà se la cambiò da sola – come sempre, d’altronde – tendiamo a dare la colpa dei cambiamenti a qualcosa di esterno, quando li provochiamo insindacabilmente noi – ma tutto scattò con la sessantatreesima telefonata.
Carola non lo sapeva, però.

Dettatura telegrammi.
Salve... signorina, volevo mandare un telegramma....... si tratta di condoglianze.......
Dica pure.
Ecco..... in realtà non so cosa scrivere..... non sono pratica...
(Eppure a settant’anni te ne sarà morta di gente, possibile che tu non sia pratica?) Bè, che le dispiace? Che è vicino alle persone rimaste?
Bè.... immagino qualcosa di simile, si................ma più caldo, immagino tutto più caldo....... come se davvero mi dispiacesse, immagino....
(Che stronza) Certo signora, che le dispiace davvero, che è inconsolabile.... che si devono fare forza.... si possono dire tante cose, su....
Si, immagino ne sappia più di me.......... ma per me è difficile...... vede, è la prima volta....... vorrei fosse toccante, per la prima volta.....
(Come no, toccante,,,,) D’accordo signora, l’aiuto io. Va bene qualcosa del tipo “ Sentitamente colpita, mi stringo forte a voi nel dolore”?
Bè, è solo uno..... quella che riceverà il telegramma...... sa, è anziana, sola....... magari senza lo stringere, magari più specifico e meno personale......
(Contraddizione in termini, praticamente) Si signora. Facciamo “Il dolore mi acceca, sentitamente colpita”?
Non so..... vorrei piangesse, ma di gioia, perché qualcuno le è sul serio vicino, sa? E’ difficile non essere soli, alla mia età..... si è sempre soli, in realtà, ma alla mia età si sente di più....... insomma, forse non dovrei mandarlo..... non trova, ridicolo......si, magari non devo mandarlo, tanto nessuno noterebbe......
(Poverina però.....) D’accordo, signora.

Carola si mosse. Dentro di lei, intendo. Si mosse dentro. Immaginò il dolore, il dolore della perdita, il dolore amaro della solitudine, il dolore di essere assolutamente incapaci di fermare tutto questo, di assistere impotenti. Era la prima volta che lo immaginava così nitidamente.
Non l’aveva mai fatto. Si sentì sola. Sola. Sola.
Ma per la prima volta lo sentì. Quel particolare dolore.

Così, signora. “Vuoto rampicante occlude il sentire. Brucia l’animo di solitudine. Senza, nulla è più.”
..........
Le piace? Va bene?
...............................
Signora?
........scusi.
No, nulla.

La sentiva piangere, di lacrime sommesse. Ma soffocate. Un dolore sordo, come i dolori sinceri.

Signora, allora dove dovrei spedirlo? Ha il nome o mi lascia il numero di telefono?
............. 752-5425
Da parte di? Il suo nome, signora.....
Dorothy. Dorothy Ellis. In realtà, Dorothea Margareth Ellis.
Va bene, Dorothy. Fatto. Arriverà domani. In mattinata.
Grazie.
Salve.

Carola chiuse la comunicazione, poi con una scusa si assentò. Staccò la sua cuffietta, e la sua postazione si mise in stand-by, attendendo che lei tornasse, fedele. Qualcosa le ronzava in testa.

Il giorno dopo tornando al lavoro vide un manifesto funerario con la scritta

Dorothea Margareth Ellis sul muro. Le si strinse qualcosa, dentro, poi ricordò la telefonata della vecchietta. Fu un lampo. Arrivò ad una cabina, chiese il numero dell’abbonata Dorothea Ellis.
752-5425.
752-5425.
Il suo.
Il telegramma era per lei.
Se l’era spedito. Da sola.
Carola pianse.

Fumò una sigaretta, camminò due minuti. Aveva in testa un mondo scuro, cattivo e pieno di solitudine. Lei che era così ottimista. La morte è madre del pessimismo. E pensare che ce l’abbiamo dentro, dal giorno della nostra nascita. E’ il destino. Ingiusto o giusto, è così che si finisce. Ma Carola voleva salvare il mondo, le apparenze perlomeno, e decise.
Li avrebbe scritti lei, i telegrammi. Avrebbe profuso nei telegrammi tutto l’amore e la compassione del mondo, mandando a fanculo quelle frasette stupide. Sicuro. Meglio soffrire sinceramente che sorridere falsamente, pensò. Aveva ragione.

Ovviamente tutto questo durò cinque minuti, il tempo della pausa che s’era concessa.
Tornò alla sua postazione, con l’intento di cambiare il mondo.
Almeno quella parte.
Almeno dove poteva.

[...]

lunedì 22 ottobre 2007

Perfetto sconosciuto - Primo capitolo

Primo capitolo dell'opera: "Perfetto sconosciuto" di Giovanni Micolucci

Per maggiori dettagli vai a
http://www.lulu.com/content/1311558


CAPITOLO PRIMO

“Oh mamma mia! E’ già ora di alzarsi stamattina!” Ma ogni mattina è diversa per me… allungando una mano ad aprire la serranda mi affaccio ad osservare il mare.
Questa notte deve essere stato infuriato: si vede il segno dell’acqua molto distante dal solito bagnasciuga.
Ma per fortuna oggi è una bella giornata. Mentre mi stiracchio e mi do una grattatina qua e là, sento già attorno a me il profumo della primavera. E poi, cavoli, pensare che fra un po’ potrò abbandonare questi vestiti pesanti è stupendo!
Presi i miei occhiali sul comodino e strofinatili un po’ con il primo straccio che mi è capitato in mano, apro la porta che dalla mia camera mi porta sul corridoio.
Quattro passi ancora avanti, canonicamente scalzo, quasi barcollando ed eccomi in cucina! La mia colazione è già pronta, come al solito è fredda perché sta là sopra da un pezzo: mia madre lavora in banca la mattina alle otto è già in ufficio e per me è l’alba! Vediamo un po’ che cosa mi ha preparato oggi, sicuramente il solito caffè decaffeinato e non potrebbero mai mancare i miei preferiti: i flauti del mulino bianco.
Mentre guardo meglio sotto il tovagliolo accendo con una mano il mio bel televisore e mi posiziono su Italia 1, chi se le vuole perdere le repliche di Mc Giver. Non perdo una puntata da quando sono nato, sospetto che ho visto questo telefilm per centinaia di volte, ma che volete?
Io la TV Satellitare non c’è l’ho, in compenso ho un bellissimo televisore 28 pollici che mi è stato regalato per la mia Prima Comunione!
Mentre do due morsi all’ormai finito flauto, con una mano mi tiro su i pantaloni jeans: diciamo che sono la mia seconda pelle visto che senza di loro non vado da nessuna parte; indosso le mie scarpe da tennis ed infilo su il mio maglione del lunedì. Un po’ tutto nella mia vita è fondamentale, una sola cosa fuori posto mi manda in crisi.
Lo so dovrei lavarmi! Ma devo uscire fuori a fare il mio giro in bici! Il tempo di farmi la riga in mezzo, di dare una parvenza di normalità al mio aspetto e subito esco dal portone di casa!
Giù per due rampe di scale ed eccomi fuori! Uno sguardo alla cassetta della posta ma tanto so già che non ci scrive nessuno a parte le solite bollette di routine.
In sella al mio destriero: e già la mia bici è un vero destriero, no, assolutamente no! Non è la solita bici di tutti! Costerà meno di quelle di tanti che mi sfrecciano affianco ma lei si chiama Janet è verde a chiazze nere. La mia bici si chiama Janet perché è la prima donna sulla quale ho poggiato le mie labbra, diciamo che le mie si sono posate sopra le sue, ma lei non penso che abbia sentito molto: penso sia una porno star francese, una di quelle che vedo spesso nei miei giornaletti porno e in questa foto che ho trovato per strada le sue labbra sono a dimensioni umane pronte ad essere baciate. Non fatevi pregiudizi su di me ma sono uomo e quella è la mia tipa ideale. Alta un metro e settantatré, capelli rossi ricci due labbra da far paura e un corpo da mille e una notte e soprattutto ha la mia stessa pelle bianca penso quasi che mi ci posso mimetizzare sopra.
Devo dire il vero, di notti assieme ne abbiamo passate, solo che lei è un pezzo di carta e io sono li davanti a guardarla come se fosse la mia luna e il mio sole quando fuori è nuvoloso.
Nemmeno il tempo di finirvi di raccontare che già sono per terra a far toccare al mio bel muso il suolo! Già a forza di raccontare e parlare mi sono dimenticato di togliere il lucchetto dalla ruota di dietro!
Se la mia Janet fosse rapita non credo che la polizia la cercherebbe come se fosse una persona vera e quindi non posso permetterlo: è per questo che le do tutte queste cure, anche se nella mia città difficilmente ci sono furti, specie nel periodo invernale!
“Ora sì, che posso davvero partire!” Metto su le mie cuffiette e, come al solito, faccio finta di ascoltare una qualsiasi radio ma in realtà le batterie sono scariche da un pezzo, forse non le ho mai ricomprate da quando sono finite la prima volta.
Ma non so, vedermi con le cuffiette mi fa sentire un tipo, come dire, “ok”! Ed eccomi pronto ad affrontare la mia difficile giornata. Prima tappa la piazza dove aspetterò per cinque minuti il passaggio dell’autobus delle scuole pubbliche, l’autista mi guarda tutti i giorni allo stesso modo sono sicuro che se un giorno non mi vede in quel punto si preoccupa e mi viene a cercare! Non potrei mai spezzare questa sua routine. Ho iniziato ad aspettarlo ogni mattina dal lunedì al sabato da quando un giorno passeggiando con la mia Janet ho notato che mi guardava insistentemente. Sono rimasto subito affascinato dal suo bel giaccone e dai suoi baffoni folti ma ormai brizzolati. Da quel giorno in poi ho iniziato a studiare ogni suo cambiamento d’umore: ho visto che il lunedì mattina è sempre assonnato sbadiglia due o tre volte, mentre gli sbadigli si trasformano in sbuffi man mano che si avvicina il sabato. Non solo, ho notato che la mattina almeno d’inverno indossa sempre un giaccone blu di quelli imbottiti di piuma d’oca mentre d’estate indossa la divisa d’autista: camicia azzurra a maniche corte e cravattino blu scuro. So anche che il giovedì mattina quando passa sta sempre litigando con qualcuno al telefono.
Poi ci sono dei giorni che invece è solare, ma ho capito perché! L’accompagnatrice dei bambini, una dolcissima ragazza, si vede da un miglio che è dolce, il suo sguardo è caldo ed accogliente le sue labbra sempre rosse fuoco e i capelli sempre ben pettinati e raccolti. Uno di quei giorni in cui era felice ho scoperto il nome, stava parlando di qualcosa non ho ben capito e insomma ho sentito lei, la dolce ragazza, chiamarlo Fausto.
Avrò passato alcuni giorni a pensare come si chiamava: avevo pensato tanti nomi per il tipo baffuto, ma Fausto proprio no! Non che non mi piaccia questo nome ma preferivo il nomignolo che gli avevo dato io: “baffo brizzolo”. Il suo baffone si vedeva che era curato, secondo me era la cosa di cui più andava fiero, oltre a quel sorrisone pacioccone da mille coccole. Oggi è un bel lunedì ed al solito eccolo lì, più o meno puntale, appena arrivato subito qualche sbadiglio, ogni tanto si liscia la fronte e aspetta con ansia l’arrivo della dolce accompagnatrice! Eccome se si vede! Eccola sbucare da dentro la scuola elementare, mi passa vicino e già inizia a sorridere, se avesse qualche annetto in meno ci farei proprio un pensierino! Fausto le apre la porta da vero cavaliere, è l’unico caso in cui lui scende dal posto guida e posso ammirare i suoi pantaloni classici grigi: secondo me non li ha mai cambiati saranno un po’ la sua seconda pelle come per me i miei adorati Jeans. Oggi la sua fermata è stata breve il lunedì che ha sonno va sempre via di fretta.
Appena ripartito con il suo pulmanino, lego Janet ad una panchina e mi incammino verso la spiaggia per andare ad osservare il mare. Camminando verso la spiaggia quasi mi metto a contare i passi che faccio e ogni anno i passi per arrivare alla riva forse per una mia impressione diventavano di meno. La mia quotidiana visita al mare è diversa fra inverno ed estate, pensate che in inverno posso fare una strada ben precisa tutti i giorni, d’estate con il passare della gente sono costretto a cambiare abitudini e a passare nel bel mezzo della spiaggia libera fra barche fastidiose e piante pungenti. C’è anche da dire che la domenica mattina, anche il sabato a volte, vedo passare coppiette innamorate mano nella mano oltre che mandrie di cani randagi e non.
In particolare c’è un cane che vedo spesso passeggiare proprio da quelle parti. E’ un cagnolino di quelli piccoli bianco a chiazze marrone e nere, a volte si avvicina mi annusa, due scodinzolate e va per la sua strada. Sapete io mi ritrovo molto in lui alla fine anche io sono così, mi manca solo di scodinzolare! Penso che anche lui abbia il bisogno di vedermi ogni mattina e così a volte quando non lo vedo quasi mi preoccupo per lui ma chi lo sa magari ha diversi giri come del resto li ho anche io.
Ma oggi è una bellissima giornata di Marzo e come ogni Marzo della mia vita la spiaggia è deserta anche se già qualcuno inizia un po’ a spolverare i propri stabilimenti balneari, oggi del cagnolino nessuna traccia, in questi periodi si vedono spesso i gabbiani che si poggiano sul bagnasciuga per poi volare in cielo e fare mille giochi e poi scendere in acqua a prendere il cibo. Qualche volta mi metto a correre contro di loro a braccia aperte quasi ad emulare le loro ali ed è stupendo vederli partire proprio quando si è talmente vicini che basterebbe uno scatto per catturarli, questa sensazione mi rende ogni giorno che passa più vivo.
Di ritorno dalla mia solita passeggiata verso il mare rimonto sulla mia bella Janet e subito di corsa verso il prossimo punto d’incontro. Non posso mica perdermi la bellissima Gabriella!
Non lo so perché ho scelto questo nome per questa ragazza fatto sta che Gabriella è il primo nome che mi è venuto in mente la mattina che l’ho vista, aveva la divisa del suo Bar, insomma da perfetta barista, ma si vedeva che tutto voleva fare tranne quel lavoro, era sempre mal truccata e non si curava molto d’aspetto, lo stesso paio di calze lo portava per mesi e mesi e si vedeva perché spesso erano sfilacciate ai lati, aveva uno sguardo quasi sempre triste e due occhiaie da far spavento.
Ma quello che mi piaceva di più di lei, era che ogni giorno mi faceva un sorriso enorme, non so se a me o all’aria aperta, ma non potevo farne a meno la mia giornata non avrebbe avuto senso senza il suo sorriso! Alcuni giorni si assentava da lavoro e questo era già presagio che dovevo cambiare tappa perché Gabriella era il mio inizio e il mio fine giornata. Ma di lei tornerò a parlarvi dopo, lei sicuramente diventerà la mia compagna di vita! Lei non lo sa, ma io ne sono certo, in lei c’è lo stesso mio sguardo e, in più, è l’esatto opposto della mia Janet in quanto a fisicità e di solito quello che voglio io, lo ottengo sempre al contrario: ma non è che mi accontenterei di lei che “è fantastica!”. Bassetta, sospetto che mi dovrò abbassare molto per baciarla, non grassa, ma ha un seno sproporzionato e si vede che le da fastidio! Penso che sia il posto più osservato del suo corpo. Ma così non è per me, io sono così attratto dal suo bel sorriso, sono sincero non so se più dal suo sorriso orizzontale o da quello verticale!
Eccola qui con il solito vassoio che porta al negozio di fronte, quasi riesco a calcolare il tempo per l’arrivo del suo sorriso. Ed infatti anche oggi le sue labbra si aprono e mi fanno intravedere i denti. Io la guardo fissa, sono un po’ timido, ed infatti suppongo che le mie guance diventino rosse e so già che in questi casi sono molto più somigliante ad una bella mela che ad una persona. A volte se vedo che mi guarda, giro anche lo sguardo o magari faccio finta che guardo altro.
Mi domando chissà cosa pensa di me e quest’oggi ho avuto voglia per la prima volta di salutarla. Ma oggi sono già un po’ in ritardo e devo proprio andare. Dovete sapere che ormai anche il mio bisogno fisiologico è preciso ed a seconda della stagione vado in un bagno diverso anche se ormai il bar preferito è quello che si trova proprio vicino al comune della mia città. Ogni giorno entro, mi prendo un bel cornetto integrale con la marmellata e poi vado in bagno, naturalmente prima di andare in bagno mi tolgo le cuffiette le ripiego per bene e le ripongo nel taschino sinistro del mio giubbotto.
Evito di descrivere quello che provo o faccio li dentro, sono le stesse cose che fate voi, ma vi dico che questo bar ha un bagno stupendo e pulitissimo, forse ancora più pulito di quello di casa mia che è sempre coperto da una coltre di panni sporchi. Uscito dal bagno faccio il solito sorriso al barista, un tipo dalla faccia solare sempre abbronzato sospetto si faccia le lampade. Capelli neri lunghi, ogni ciocca sembra studiata perché ogni giorno sta allo stesso posto preciso. E poi mi piace perché non fa domande, accetta che entro lì per prendere un cornetto e poi per andare al bagno. Seduto sul tavolino quasi rifaccio mente locale di tutto quello che faccio ogni giorno poi a quest’ora ci sono sempre due signori anziani che ormai fanno parte della mia giornata: uno Francesco e l’altro Massimo, vengono al bar a farsi la solita partita a briscola, mattutina per poi consumare la loro vincita un caffè o un gelato quant’è estate. E’ uno spettacolo speciale di quelli che mi fanno riempire di gioia le mattinate. Massimo è un signore pacato da quello che ho capito faceva il postino probabilmente anche nella mia zona; ricordo di averlo visto qualche volta quand’ero più piccolo. Porta sempre in testa un basco grigio e indossa sempre vestiti larghissimi oltre a quel cravattino nero che gli dà quel tono di persona importante. Francesco invece, che dire, un furbacchione, occhi azzurri chiari sempre pronti a fregare, un vocione enorme e un modo di parlare incredibile, lui è un ex macellaio veste sempre come se fosse un giovanotto: sì proprio così tutto firmato e non solo spesso e volentieri lo si vede passare perché fa footing tutti i giorni ed è proprio dopo la corsetta mattutina che si incontra con Massimo. Quando la partita inizia i due sono tranquilli, chiacchierano come amici di sempre parlano della partita di calcio vista in TV, o della loro passione comune per la coltivazione, ma appena passano alcuni minuti il vocione di Francesco inizia a farsi sentire a quanto pare, Massimo più taciturno ha una gran bella fortuna non c’è giorno che non vinca e povero lui quando non è così! Francesco si vanta con tutti che l’ha battuto quasi a fare manifesto della sua bravura, quando perde invece inizia a sbraitare davanti al bancone mentre ordina al barista la consumazione per l’amico Massimo e gli dice sempre: “Ci credo che non ti sei sposato mai, hai una fortuna incredibile”. Massimo si dà un’aggiustata al cravattino, inizia a ridere e a dire che non è fortuna ma è tutta classe. Persino il barista taciturno ogni tanto si fa uscire fuori una risata. E se c’è sua moglie Gina allora sì che davvero vorrei che i due non andassero mai via dal bar! Lei è una signora con la sua età, ma ha un bel caratterino: gli piace da impazzire far diventare rosso Massimo con le sue proposte o con i suoi bacioni e Massimo si ritira come un riccio senza però cacciare le spine. Francesco la guarda e le fa sempre lusinghe, poi quando c’è lei quasi nasconde la sua mano sinistra nella tasca quasi per non farle vedere che è sposato! E le volte che non c’è il marito di lei, allora sì che Francesco caccia fuori tutta la sua giovinezza raccontando le sue prodezze sessuali da giovane o delle sue scappatelle passate. Massimo, mentre l’altro racconta, si guarda le scarpe come per dire siamo capo da piedi questa storia l’avrà raccontata già duemila volte. E guai se poi non c’è una risata o una pacca sulla spalla, Francesco è di un permaloso tremendo, di quelli che se una sola volta non gli dai una briciola di rispetto non ti guardano più. Rendetevi conto che una volta Gina per scherzo gli ha detto che aveva un po’ il vestito scomposto, ha iniziato a cacciare mille scuse a giustificazione di quella sua mancanza e per alcuni giorni non le ha rivolto proprio la parola.
A volte questi anziani tornano ad essere proprio bambini, ed al mio paese penso si dia molto spazio a loro; i bambini della terza età: la tranquillità, il silenzio dei lunghi pomeriggi invernali e il tutto chiuso di notte li fa riposare in modo fantastico. E poi è da dirlo qua da noi non fa mai troppo freddo e mai troppo caldo, insomma un tempo perfetto per stare tutta la vita e sonnecchiare e nessuno si sentirebbe di modificare tale tranquillità.
Eccomi qua già di fronte al bar, poggio su una parete Janet e la lego per bene. Apro la porta del bar e subito ad accogliermi il buongiorno di Gina ed io rispondo con voce gioiosa come al mio solito: “Buongiorno”, lei ormai sa già che prendo il cornetto integrale e devo ammettere che lo tiene sempre da parte per me non serve nemmeno più che le domando mi siedo al mio solito tavolino quello più vicino alla vetrata d’ingresso del bar ed infatti eccolo qua il mio cornetto subito al suo posto sul mio tavolino. Il cornetto in questo Bar è buonissimo anche se sono sicuro che si tratti di cornetti surgelati e non fatti in pasticceria ma sono così caldi e poi mi sono donati con questa cura! Lo divoro in pochissimo tempo, ho il vizio di masticare poco quando mangio specie le cose che mi piacciono di più. Mentre il cornetto è ormai stremato dai miei morsi, inizio a prepararmi per la mia sacra visita al bagno! Guai se non ci andassi a quest’ora rischierei di farmela sotto. Come previsto lo stimolo non tarda a farsi sentire. Prendo da solo la chiave del bagno mentre ripongo le mie cuffiette. Ed eccomi qui! Sì proprio davanti alla fatidica “tazza del cesso” anche lei ha un’importanza cruciale nella mia vita, non ditemi che non è capitato anche a voi di stare a pensare per ore lì sopra, quasi ci aiutasse a farlo. Per me è così. Il bagno m’ispira molto. Tirandomi su la zip dei pantaloni mi avvicino al lavello per lavarmi le mani. Uno sguardo di sfuggita allo specchio ma evito di guardarmi per troppo, mi metto in soggezione da solo e poi potrei anche spaventarmi! Mi chiudo la porte alle spalle, cosa si inventa al giorno d’oggi la tecnologia appena chiudi la porta “zac!” lo sciacquone del bagno; vi assicuro che la prima volta che sono entrato mi sono davvero spaventato! E poi insomma come si fa a fare le proprie cose in tranquillità con un aggeggio che a tempo fa una luce verde e rossa insomma mi sento il coso sotto controllo.
Uscito fuori dal bagno Massimo e Francesco sono già arrivati e stanno già dando le carte. Oggi i due sono silenziosi, ma è normale deve essere lunedì anche per loro! A mio parere una volta che uno inizia a lavorare il trauma del lunedì mattina lo sentono anche quando sono andati in pensione! Anche Gina la vedo indaffarata dietro al bancone e non dà molta cura ai due amici. Rimango ancora poco ad osservarli e mentre mi alzo saluto di nuovo dicendo buongiorno ed è l’unico momento in cui Massimo e Francesco mi rivolgono parola rispondendo al mio saluto. Mentre la porta del bar si chiude alle mie spalle è già ora di tornare a casa per preparare il pranzo.

giovedì 11 ottobre 2007

Il potere segreto del QUARZO IALINO

Autore: Blu Star
Titolo libro: Il potere segreto del quarzo ialino

Per maggiori dettagli vai http://www.lulu.com/content/734826


CAPITOLO PRIMO


QUARZO IALINO - VERITA’ E LEGGENDE -

Il nome "cristallo" viene dalla parola greca che significa ghiaccio, poiché gli antichi credevano che fosse ghiaccio ormai così freddo da non poter più essere scongelato. Anticamente i giacimenti di cristalli erano considerati "terre di dei" e solo i grandi sacerdoti o sacerdotesse vi potevano accedere. Il cristallo è ritenuto l'essere più antico che c'è sulla Terra, conserva in memoria le esperienze della Terra ed è stato usato dagli antichi come ricettacolo di conoscenze e segreti.
E’materia in stato di perfezione, energia cosmica, ponte con la spiritualità, è la somma di tutti i processi evolutivi e pura luce divina.

La fama del cristallo di rocca per convogliare energie positive è presente in tutte le culture del passato: dall'antica Roma, al Giappone, all'Africa, all'Australia e persino nelle leggendarie civiltà di Atlantide, Lemuria e Mu. Un'antica leggenda sciamanica di origine australiana racconta che un tempo il mondo era felice e c'era grande armonia. Ma poi successe qualcosa di grave e gli dei persero i loro troni e per diventare eterni si trasformarono in cristalli. Per questo essi definivano
"luce solidificata" il neofita che diventava sciamano. Gli sciamani utilizzavano il cristallo come un potentissimo catalizzatore di energia che permetteva di mettersi in contatto con le forze della Natura.


In alcune parti della terra sono stati rinvenuti dei misteriosi e splendidi cristalli di quarzo, che riproducono a grandezza naturale la forma di teschi umani. Il più famoso rinvenuto nel Belize è conosciuto come“teschio di Mitchell Hedges”, dal nome del suo scopritore, un esploratore inglese. Il teschio è largo 124 mm., alto 147 mm., lungo 197 mm. e pesa 5 chili 200 grammi.; la manifattura è di una qualità veramente straordinaria. E’datato migliaia di anni e gli si attribuiscono straordinari poteri. Per diversi anni fu sottoposto ad approfonditi esami scientifici, da cui si concluse che neanche con le più avanzate tecnologie di oggi si sarebbe potuto scolpire un oggetto così perfetto. Durante i test il teschio mostrava una rilucenza particolare, come se fosse circondatoda un’aura e in più emetteva un suono strano simile a un dolce canto di voci umane. Per questo fu chiamato “il teschio che canta”…………

Una leggenda tramandata dal popolo Cherockee narra di dodici teschi, ciascuno ricavato da un solido blocco di cristallo di quarzo. I dodici teschi erano disposti in cerchio attorno a un teschio di ametista; vi erano inoltre otto bacchette di cristallo disposte nei quattro punti cardinali e nei punti intermedi. Questi teschi, molto antichi, erano una specie di computer olografico che conteneva delle informazioni programmate. Queste informazioni includevano conoscenze sull’origine, scopo e destino dell’uomo e i misteri della vita. Questi teschi sarebbero stati scoperti dall’uomo al momento opportuno e cioè quando l’uomo avrebbe raggiunto un grado di evoluzione tale da non farne un cattivo uso.

Narra la leggenda che gli Atlantidei facessero uso dei cristalli; conoscevano molto bene le caratteristiche della rifrazione, dell'amplificazione e della programmazione del quarzo ialino. La catastrofe che determinò la fine di Atlantide fu procurata proprio dall'abuso dell'energia di questi cristalli. Nella zona oggi conosciuta con il nome di "Triangolo delle Bermude", si
dice si trovino adagiate sul fondo dell'oceano le spoglie dell'antica città di Atlantide. E' probabile infatti che l'accumulo di energia nei cristalli danneggiati sia il diretto responsabile dei numerosi naufragi, scomparse e smaterializzazioni susseguitesi nel corso dei secoli in questa particolare zona della terra. Edgar Cayce, nel corso delle sue ormai storiche letture, fornì le
seguenti descrizioni riguardo all'uso del "Grande Cristallo" in terra Atlantidea: "Il cristallo è stato alloggiato in una speciale costruzione di forma ovale, con una cupola ad apertura meccanica, in grado di esporre il cristallo alla luce del sole, della luna o delle stelle, a seconda dell'utilizzo che se ne deve fare. L'interno della costruzione è rivestito di metallo e pietra non conduttiva, simile all'amianto o alla bachelite. Il cristallo (denominato da Cayce "Pietra di Fuoco") è enorme nel formato, cilindrico di lunghezza e prismatico nella figura, formato da sei lati…..". “I primi Atlantidei erano gente pacifica, e l'utilizzo che facevano del Cristallo di Fuoco ricopriva essenzialmente scopi di carattere spirituale. Ma purtroppo, successivamente, man mano che divenivano note le sue infinite potenzialità, il cristallo venne messo al servizio di altri scopi: le correnti di energia iniziarono ad essere trasmesse attraverso la terra sotto forma di onde radio ed alimentate da questa, hanno cominciato ad attraversare la terra, il cielo ed il mare alla velocità del suono….” ”Fu così che l'eccessiva e scorretta sintonizzazione del Cristallo di Fuoco sulle onde più elevate, ed il costante passaggio di energia elettrica attraverso la Terra, andarono a contrastare l'armonia delle vibrazioni naturali dei vulcani e delle montagne attivandoli e portandone contemporaneamente il punto di fusione oltre la soglia di pericolo. Fu in questo modo che vennero attivati gli sconvolgimenti geologici che inabissarono l'Isola, e che arrivarono, infine, a causare lo spostamento della Terra dal proprio asse...” Il cristallo Atlantideo o Cristallo di Fuoco, venne alterato ed accelerato. In breve tempo alcuni esemplari "modificati" misuravano 25 piedi d'altezza e 10 piedi di diametro, presentavano una cristallizzazione a 12 lati e venivano programmati per immagazzinare informazioni e trasmettere energia. I cristalli più piccoli venivano utilizzati per la meditazione, lo sviluppo psichico, l'aumento delle capacità intellettive, le comunicazioni, la smaterializzazione della materia, il trasporto di oggetti, l'attivazione di campi magnetici ed altri scopi impensabili per la nostra cultura
moderna. Un certo numero di cristalli vennero modellati in forma piramidale e utilizzati per la chirurgia, per le operazioni indolore, e soprattutto per interventi in zone delicate quali il cervello, gli occhi, il cuore e gli organi riproduttivi. Gli Atlantidei usavano una tecnica molto particolare per evitare l'invecchiamento dei tessuti epidermici: si sottoponevano
periodicamente ad una seduta di meditazione della durata di 15/20 minuti all'interno di un cerchio composto da 6, 11, 22 o 24 pietre differenti, tenendo in mano un quarzo ialino non programmato che aveva la funzione di controllo e focalizzazione.